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Parole

PASTASCIUTTA PER TUTTI

MARGHERITA GIROMINI - 22/07/2016

Una “pastasciutta storica” a casa Cervi in Emilia

Una “pastasciutta antifascista” a casa Cervi in Emilia

Erano le 23,15 quando fu trasmesso il grande annuncio della caduta del fascismo; la famiglia Cervi di Campegine, in Emilia, era già a letto, quella sera del 25 luglio 1943; nessuno in casa aveva sentito la radio perché in quel periodo dell’anno ci si doveva alzare presto per seguire i lavori in campagna. Era il tempo del secondo taglio del fieno.

“Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato, presentate da Sua Eccellenza Benito Mussolini… “.

Per strada un uomo gridava: “L’è casché, l’è casché…”. È caduto, è caduto. “Ma chi è casché?”, chi è caduto?” chiedevano attoniti gli altri. “Il Duce, i l’han mess in galera”.

L’intera famiglia si alza, si riunisce al fresco del portico. Ci sono Alcide e la moglie Genoeffa, i figli Ettore, Ovidio, Agostino, Ferdinando, Aldo, Antenore e Gelindo.

Una manifestazione non si poteva fare perché il Duce era caduto ma fascisti e tedeschi erano ancora ai propri posti, e Badoglio stesso lo aveva detto che la guerra continuava. “L’idea della pastasciutta per tutti – racconta un testimone – era venuta ad Aldo e gli altri si dichiararono subito d’accordo. Perché la gente aveva fame e qualcosa di concreto si poteva fare”.

L’organizzazione dell’evento venne affidata a Gelindo. Fu lui ad andare dal fornaio Cocconi ad ordinare la pasta. La farina? Due quintali li misero i Cervi e mezzo quintale la famiglia dei Bigi, che come i Cervi erano affittuari, più ricchi dei mezzadri. In quegli anni il grano si doveva portare all’ammasso ma i contadini avevano escogitato il modo per ricavarne una parte per sé e per la propria cerchia familiare. Prima dell’arrivo della trebbiatrice, che era sorvegliata dai militi fascisti, si battevano i covoni per terra, così si recuperava un po’ di frumento.
Il fornaio fu aiutato dalle donne di casa Cocconi ad impastare la farina. Gelindo si recò alla latteria sociale Centro Caprara per chiedere al casaro di cuocere la pasta nelle grandi caldaie utilizzate per preparare il parmigiano reggiano. Il casaro mise al lavoro un gruppo di donne del paese: dovevano grattugiare il formaggio che sarebbe servito come condimento della pasta, assieme al burro.

Tutto era pronto alle 11 della mattina del 27 luglio. Tre contadini misero a disposizione carro e cavallo per trasportare i bidoni pieni di pasta fino alla piazza grande di Campegine.
La voce si sparse. Dalle case di campagna braccianti e contadini uscirono con i piatti in mano o con le zuppiere e si accodarono al carro come in processione.

“Fu il più bel funerale del fascismo” scriverà Alcide Cervi nel suo libro “I miei sette figli”.

Sul carro c’erano quattro ragazze. Tre di loro: Eletta, Amedea e Maria, sarebbero diventate staffette partigiane.

Alle 13 si cominciò a riempire i piatti. Di lì a poco si presentò in piazza il maresciallo dei carabinieri per ammonire: quella era una manifestazione e gli assembramenti con più di tre persone erano proibiti. Di rimando Gelindo affermò che in quella piazza lui vedeva soltanto gente affamata. “Maresciallo, prenda un piatto di pasta e torni in caserma”.
Tra la gente i fratelli Cervi correvano a servire qua e là. Uno di loro informò Antenore della presenza in piazza di un fascista, anche lui in attesa della pastasciutta, però in camicia nera. Ma se l’uomo era lì, voleva dire che aveva fame anche lui. Antenore si accostò al fascista per dirgli che poteva restare, ma la camicia nera, se la sarebbe dovuta togliere. Il fascista rispose che di camicia ne possedeva una sola, quella. E Antenore, pronto, ribatté “ Vedi come ti ha ridotto il fascismo? Non hai nemmeno due camicie!”

Apparvero tre o quattro timidi cartelli con scritto “Abbasso il fascismo”, “Viva la Pace”.

Era caduto il fascismo ma il peggio doveva ancora arrivare. Per la famiglia Cervi, che avrebbe perso i sette figli per mano fascista. Per l’Italia, che avrebbe visto la luce della libertà solo dopo 18 mesi di gravi lutti.
La pastasciutta della famiglia Cervi è rimasta nella memoria di chi ha potuto vivere qualche ora di serenità in mezzo alle tante sofferenze del periodo.

Sono vent’anni che si è ripresa la tradizione della pastasciutta, a partire dall’aia e dai prati di casa Cervi: il 25 luglio di ogni anno qui si prepara la “pastasciutta antifascista” per tutti.

Lo scorso anno, nel 70° anniversario della Liberazione, la “pastasciutta della famiglia Cervi” prende piede in tante parti del paese. Oggi come allora questo piatto, povero ma nutriente, è offerto gratis a coloro che vogliono sottolineare il proprio antifascismo anche con un gesto concreto ma simbolico allo stesso tempo.

In ricordo della famiglia Cervi, la “Pastasciutta antifascista” si terrà alla Cascina Mentasti di Varese domenica 24 luglio.

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