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In Confidenza

COME SALVARE L’AFRICA

Don ERMINIO VILLA - 22/07/2016

comboniSan Daniele Comboni è convinto dell’importanza di attingere sempre alla sorgente del dono divino: “Il missionario che non avesse un forte sentimento di Dio ed un interesse vivo alla sua gloria ed al bene delle anime, mancherebbe di attitudine ai suoi ministeri, e finirebbe per trovarsi in una specie di vuoto e d’intollerabile desolamento”.

L’aspetto del mistero e del ministero di Cristo, che costituisce il nucleo del carisma comboniano, è la morte di croce del Figlio di Dio, contemplata come momento della rigenerazione dei ‘più poveri’. Ma il dono ricevuto va trasmesso, per questo i suoi compagni sono invitati a percorrere il suo stesso cammino di auto-donazione.

Questo Cristo spogliato, morto e trafitto in croce diventa ispirazione e modello per il missionario e fonte di speranza e di vita per l’umanità umiliata e spogliata. Comboni legge la sua situazione esistenziale alla luce del mistero pasquale: la morte porta alla vita: “Il missionario apostolico non può percorrere che la via della croce del divino maestro, cosparsa di spine e di fatiche di ogni genere”.

Questo istituto diventa come un piccolo Cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanto sono gli zelanti e virtuosi missionari che escono dal suo seno.

La vocazione di Comboni rimane inscindibilmente legata all’Africa. Ma avrà l’Africa la stessa importanza per i comboniani? Apparterrà l’Africa a quel nocciolo imprescindibile della sostanza del carisma?

I Comboniani, che seguono gli insegnamenti e gli esempi di san Daniele, devono cercare di vivere la sua spiritualità, cioè di crescere: nell’attenzione allo Spirito che ci chiama a vivere questo carisma nella Chiesa e nel mondo, e nell’apertura verso quel tesoro sapienziale che ci viene comunicato nello studio della personalità, spiritualità e azione di Comboni, nonché nelle vite dei suoi seguaci, e trasmesso da chi prima di noi ha ricevuto questo dono; nella capacità di contemplare e nel tenere quotidianamente gli occhi fissi sulla croce cercando di comprendere sempre meglio il significato di quel Dio morto per la salvezza dei più poveri e abbandonati, anche trovando nuove simbologie e devozioni più adatte al nostro linguaggio e al nostro sentire; nella disponibilità di identificarci sempre più intimamente col Trafitto che contempliamo, assumendo la sua missione, i suoi sentimenti, i suoi atteggiamenti.

Coloro che lo seguono cercano di vivere la sua missione, cioè di crescere: nell’apertura al dialogo con le persone e le idee del nostro tempo, verso una maturità comboniana capace di rispondere alle sfide del presente; nel discernimento e identificazione di quei luoghi e gruppi umani, che sono nei nostri giorni i più poveri e abbandonati, i più spudoratamente “esclusi dal beneficio della redenzione”; nel denunciare pubblicamente tutte le ingiustizie ed emarginazioni che impediscono a tali gruppi umani di partecipare dignitosamente alla vita della famiglia umana, particolarmente lì dove si prendono le decisioni capaci di cambiare la loro situazione; nell’ascolto rispettoso ed attento della voce dei più poveri, riconoscendoli come primi protagonisti della loro propria “liberazione”; nel fare causa comune con loro, condividendo gioie e tristezze, speranze ed angosce.

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