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Cultura

RISCOPRIRE GUIDO PIOVENE

RENATA BALLERIO - 16/09/2016

pioveneDopo il convegno che si tenne a Induno Olona nel 1997, non ci sono state altre occasioni per ricordare lo scrittore e intellettuale vicentino Guido Piovene, che trascorse alcuni periodi nella villa indunese della moglie, figlia del senatore Pavia. Si dice che nella villa al Bidino, che ora ha lasciato spazio ad altra struttura residenziale, fosse spesso ospite anche Eugenio Montale, che in quelle eleganti stanze si dilettava a suonare il pianoforte. Forse questo silenzio è determinato da una sorta di damnatio memoriae per le idee politiche di Piovene o forse perché la sua presenza a Induno non fu mai dialogante e aperta ai cittadini. Certamente, manca il coraggio della memoria. Capire una figura come quella ambigua ma interessante di Piovene non significa rendergli omaggio, ma aiuterebbe a leggere e a interpretare una parte della storia culturale d’Italia. Ci sarebbero varie piste di studio: il giornalista Piovene, il traduttore, il critico (a lui si deve la prefazione di Tropico del cancro di Miller), senza dimenticare il recupero degli scritti inediti.

Piovene fu fascista? Si potrebbe dare una risposta secca: senza dubbio aderì al fascismo. Anzi, c’è una macchia nel suo pensiero ed è quella rappresentata dall’antisemitismo. È opportuno riportare integralmente quanto scritto nella presentazione su Rai Storia dello scrittore vicentino: “Una delle pagine meno edificanti della biografia intellettuale di Piovene è rappresentata senza dubbio dalle sue posizioni antisemitiche, espresse in modo particolare in un articolo intitolato “Contra Iudeos” pubblicato sul “Corriere della sera” il 1 novembre del ‘38 in piena campagna del regime contro gli ebrei. Era gia’ uscita la carta della razza e stavano per uscire le vere e proprie leggi razziali. Piovene sposa le posizioni più radicali dell’antisemitismo definendo la razza un fatto scientifico, una questione di sangue e arriva a proporre l’espulsione degli ebrei, in quanto corpo estraneo. Nell’articolo si legge: “Bisogna cacciarli per eliminare il puzzo millenario degli ebrei dalla cultura italiana”.

L’affermazione sugli ebrei è decisamente pesante (non si trovano altri aggettivi per prenderne le distanze) ma proprio per questo bisogna avere il coraggio di studiare la personalità di Piovene e non limitarsi a fornire etichette classificatorie.  Anche in questo caso esistono ambiti di ricerca che si possono così sintetizzare: 1) il giudizio che lo stesso Piovene diede del suo percorso intellettuale. In tal senso la sua raccolta intitolata La coda di paglia è una miniera di riflessioni. 2) le pagine del saggio pubblicato nel 1999 dal titolo Tempi di Malafede relativo al rapporto tra Piovene e Colorni, di famiglia ebraica, aderente a Giustizia e Libertà, nonché federalista convinto, offrono spunti di grande attualità. 3) la comprensione mai scontata e sempre necessaria tra visione politica di uno scrittore e la sua capacità di scrittura, al di là delle mode.

È ancora attuale il suo Viaggio in Italia? Sicuramente il nome di Piovene è legato a questa grande inchiesta nell’Italia degli anni Sessanta. Il poderoso testo è uno strumento per capire l’Italia di oggi. Senza condividere in toto le parole scritte da Montanelli nel 1998 (“Viaggio in Italia “dovrebb’essere testo d’obbligo nelle scuole italiane, tali sono la profondità e la nitidezza della sua sonda nelle piaghe e nelle pieghe del nostro Paese”), la lettura è davvero affascinante. E a proposito del ruolo di Piovene nella letteratura contemporanea, scriveva ancora Montanelli: “Egli era, secondo me, e rimane, il più grosso scrittore e saggista italiano del Novecento: come capacità di penetrazione di uomini ed ambienti, nessuno lo eguaglia”.

Se il giudizio di Montanelli è un pochetto sopra le righe, è invece indiscutibile come l’opera di Piovene, lucido osservatore anche degli aspetti più tenebrosi dell’animo umano (e per questo paragonato ai pensatori francesi del Seicento), con una scrittura efficacemente nitida, sia  quasi sconosciuta.

Certamente non viene studiato a scuola (e forse questo è un peccato veniale perché la vera cultura non si fa sui banchi di scuola), ma non viene quasi mai ricordato perché pensare in profondità non è l’attività preferita dai più. E non si fa solo riferimento alla stagione del cosiddetto romanzo gnoseologico degli anni a cavallo tra il 1970 e il 1980, per cui vinse il premio Strega con Le stelle fredde, ma alla caratteristica di scrittore vivissimo e sempre attento all’evolversi dei tempi. In una letteratura che sempre più si piega al totem del mercato, la prosa di Piovene, che fu intelligente interprete di una letteratura proiettiva, è fatalmente condannato ad un ruolo secondario.

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