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Lettere

BELFORTE NON È IL BRONX

- 19/09/2016

Varese è  città di quartieri, di cittadini che abitano nei rioni e nelle antiche castellanze. Vanta la peculiarità di  una storia collettiva che si è costruita nei secoli, mutando volto col passare del tempo, proprio attorno a tanti  centri urbani. Ora resto sgomenta dinanzi al fatto che l’episodio di inaudita violenza accaduto a Belforte, i danni di un uomo percosso, legato e dato alle fiamme venga ritenuto, da un organo di stampa locale, utile a rappresentare il quartiere come nuovo Bronx.

Ho insegnato per decenni in un liceo varesino sito nel rione di Belforte e mai mi sono sentita insicura. Né lo sarei ora: le azioni violente di singoli non sono il metro di misura di una realtà territoriale attiva e vivace grazie alle sue scuole, alla parrocchia, alle associazioni di quartiere, alle cooperative.

In tante occasioni abbiamo ripetuto  ( e non io sola) che Varese ha tanti centri quanti sono i suoi quartieri: ed è così. Quindi ce la sentiremmo di dire che la nostra città è luogo di degrado umano per colpa di pochi isolati casi di inciviltà? No, perché non è vero e perché non avremmo, giustamente, il coraggio di scagliarci in parallelismi fuori luogo. Varese non è il Bronx e non lo è nemmeno Belforte. Come non avrebbe dovuto esserlo S. Fermo (rione in cui abito) sebbene per decenni si siano sprecati giudizi impropri e immeritati.

Chiunque abbia intenzionalmente acceso la miccia denigratoria verso il quartiere belfortese forse non intuisce il torto che sta arrecando alla dignità di migliaia di cittadini onesti e civili e a chi nel quartiere, attraverso i suoi luoghi di formazione, aggregazione e cultura, compie da sempre azioni costruttive e positive.

Non si rende conto che sta facendo un grosso danno alla scuola, alle tante scuole del rione: azionare la leva dell’insicurezza genera una paura inesistente e non valorizza la bellezza di una quotidianità serena e di qualità. E quindi danneggia proprio i cittadini più giovani, ingiustamente indirizzati a pensare di vivere “chissà dove”.

Non si rende conto che fa del male alla dimensione sociale del territorio, calpestando quanto invece è fatto nel silenzio e nella dignitosa normalità.

Luisa Oprandi

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