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Apologie Paradossali

REFERENDUM/2 L’INTERESSE NAZIONALE

COSTANTE PORTATADINO - 30/09/2016

società-liquida(C ) Dicevamo la volta scorsa: “ci occuperemo della questione dell’interesse nazionale, stretto tra le forche caudine della prevalente legislazione europea e la tentazione di ridurre gli spazi delle autonomie regionali e locali per riprendere il controllo della gestione della finanza pubblica, che mi pare il vero, irrisolto, problema di fondo, che preoccupa sia i nostri governanti, sia la cosiddetta ‘grande finanza internazionale’, di cui non si può evitare di notare l’influenza sulle vicende italiane ed europee”. Non è un compito facile, perciò, cari Onirio e Sebastiano, lasciatemi scrivere una paginetta, prima di interloquire.

La parola magica continuamente ripetuta è ‘stabilità’ intendendosi la necessità di far durare il governo insediato dopo le elezioni per tutta la durata della legislatura, come garanzia della continuità della sua azione di indirizzo dell’economia. Uno sguardo meno distratto intende per stabilità la permanenza in carica dell’attuale governo, il cui obiettivo più immediato e credibile si mostra essere il salvataggio del Monte dei Paschi e l’evitare il diffondersi del contagio ad altre banche, il basso livello di tasso d’interesse sul debito pubblico. Ma su questi obiettivi potremmo essere d’accordo, salvo notare che proprio l’apparente rimedio è la causa del male: l’aver politicizzato il referendum trasformandolo in un possibile NO al governo Renzi, con l’offerta alle opposizioni minoritarie in Parlamento, dell’occasione di una possibile spallata inferta dal voto popolare, questo è ciò che produce nei cosiddetti ‘mercati’ la sensazione di insicurezza nei confronti del nostro Paese.

Tuttavia questo gesto temerario ha una ben forte giustificazione: ottenere, appunto con il SÌ, una sanzione ‘paraelettorale’ di cui il presidente non eletto e il suo seguito di ministri (politici, non tecnici) anch’essi in gran parte non eletti, hanno assolutamente bisogno, proprio per potersi definire governo ‘stabile’ e non emergenziale. A questo scopo occorrerebbe tuttavia una vittoria molto ampia, se non plebiscitaria. Anzi, una vittoria di stretta misura del SÌ rischierebbe di essere più pericolosa del NO, perché metterebbe immediatamente sulle spine i trecentoquindici senatori perdenti posto, tra cui i convinti sostenitori del governo non raggiungono la maggioranza e devono appoggiarsi ad un numero considerevoli di transfughi, il cui comportamento politico, dopo il ‘licenziamento’ sarà tutto da verificare.

Il secondo aspetto della stabilità è quello finanziario: leggasi contenimento del deficit di bilancio e dello spread e tentativo di rilancio dell’economia con un pur modesto aumento del PIL. A questo proposito bisogna dare atto ai governi emergenziali di essere riusciti a portare a termine riforme pesantissime, da “lacrime e sangue”, per dirla con Churchill e per alludere al fatto che gli ultimi anni di austerity pesano sui nostri redditi come e più di una guerra perduta. Però … Però proprio i governi cresciuti nell’instabilità e nel bicameralismo sono riusciti in pochi anni e senza un giorno di sciopero a fare riforme molto importanti: tagliare drasticamente le pensioni (riforma Fornero, governo Monti) a trasformare le ultracentenarie banche popolari in SPA (società per azioni, scalabili dalla finanza internazionale, mica in terme di lusso), JOB’S ACT, riforma del lavoro a beneficio delle sole imprese medio grandi (governo Renzi), Che cosa altro si può ottenere o minacciare, una volta abolito il bicameralismo e blindato il supermaggioritario con il nuovo sistema elettorale? Quale riforma drastica manca all’appello, da realizzare con la nuova macchina di guerra del monocameralismo?

Il terzo punto dell’interesse nazionale dovrebbe consistere nel riaccentrare nello Stato molte competenze delegate alle Regioni dalla riforma costituzionale del 2005, ovviamente non allo scopo di limitarne l’autonomia, ma di ridurne la spesa. Saggio proposito, peccato che le principali fonti di spesa, diciamo discutibile, delle Regioni risalga a quelle a statuto speciale, le cui competenze non sono toccate. Peccato che il vincolo del patto di stabilità blocchi già la spesa anche delle regioni e dei comuni virtuosi, che avrebbero avanzi di amministrazione da investire in opere e servizi, la cui attuazione darebbe anche una spinta positiva al PIL.

Altri punti dell’interesse nazionale che mi sentirei di aggiungere sono l’efficientamento della pubblica amministrazione, che da solo varrebbe risparmi e aumento di competitività calcolabili in punti in meno di deficit e di spread; la velocizzazione della giustizia civile, la cui lentezza trattiene le aziende estere dall’investire in Italia ben più del numero dei senatori o della modalità della loro elezione. Ma questo non dipende in nulla dalla riforma costituzionale, anzi già ora in Parlamento ci sarebbero ampie maggioranze.

(O) Se le cose stessero come dici, addio speranza di cambiamento!

(S) Ma le cose non stanno come dici, perciò, anche contro le speranze di Onirio, io sono per la stabilità. Anzi il cambiamento che occorre è proprio quello destinato a creare stabilità. E per dimostrarlo userò proprio gli argomenti che tu prendi dalla bocca del prof. De Carli. È un passo che segue immediatamente quello citato la volta scorsa. Ecco la citazione:

S’aggiunse col tempo la crisi e quasi la scomparsa dei partiti nel senso costituzionale del termine che ha tolto di mezzo, come fattore determinante per la stabilità di un governo, l’efficacia di una accordo programmatico fra le forze politiche per il sostegno ad un governo. La debolezza delle idee sociali e programmatiche delle nuove forze politiche, il sorgere. lo scomparire e il veloce trasformarsi delle stesse, la disinvoltura da parte dei parlamentari nell’abbandonare e nel passare ad altre forze rendono molto incerto il sostegno duraturo ad un governo e quindi la stabilità del governo. D’altro canto vi è il crescente potere dei media e del web. Esso si rivela come sempre più interferente e condizionante l’attività politica, nella formazione stessa e nel consenso che ottengono le forze politiche, nel gradimento dei singoli che ricoprono cariche governative o amministrative, nel gradimento che ottengono singole decisioni politiche”. Nel suo argomentare, queste osservazioni volevano dimostrare che il problema non è di regole costituzionali, ma di credibilità della politica. Padronissimo tu di credergli e tanti altri pure. Ma io dico che al contrario proprio la crisi della politica obbliga a regole più ferree, che consentano il pieno esercizio del potere a chi vince, legittimamente, le elezioni. Se la società è diventata liquida, occorre che le istituzioni diventino solide, con buona pace dei sociologi. Tu, anzi voi la chiamate ‘egemonia culturale’, evocate Gramsci, Togliatti e magari Stalin, ma negate una verità bronzea: la politica non deve dipendere dal consenso, deve formarlo. E non è dittatura: anche le dittature più organizzate hanno bisogno del consenso e se lo procurano con ogni mezzo, la democrazia, invece, di mezzi ne ha uno solo: l’efficiente esercizio del potere. Se vi rinuncia, rinuncia a se stessa.

(O) Trovo strana questa tua concezione di democrazia, intrisa di ragion di stato, ma devo riconoscere che seduce molti autorevoli personaggi della cosiddetta società civile: banchieri, industriali, professori, in genere persone che occupano posizioni di vertice e che dall’ esercizio del potere dello Stato sulla società traggono beneficio per i loro interessi. Io penso invece che il rimedio alla società liquida sia salvaguardare elementi di aggregazione, vuoi dire di coagulo, per restare nella metafora? Una volta li chiamavamo corpi intermedi: dai partiti alle associazioni, dai sindacati dei lavoratori a quelli degli imprenditori, dalle realtà culturali ed educative spontanee, cioè non condizionate dallo Stato, alle opere sociali. Il mondo che oggi si chiama della sussidiarietà.

(C) Questo sarà il tema della prossima apologia, strettamente collegato a quello delle autonomie, regionali e locali. Sempre presentando le opposte opinioni.

(C) Costante (O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi

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