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Attualità

MIGRAZIONI, COSA FARE

FELICE MAGNANI - 30/09/2016

?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Diversi sono i modi di affrontare un problema, molto dipende dalla sua entità. C’è chi si preoccupa dell’aspetto giuridico/legislativo, chi ne investiga la natura istituzionale, chi quella sociologica e quella psicologica, chi si preoccupa delle motivazioni, chi del rapporto causa effetto, chi delle conseguenze, chi ne analizza l’evoluzione storica e chi invece si pone in una forma di antagonismo pregiudiziale, non condividendone il profilo e la sostanza. Ci sono molti modi per giudicare e molti altri per tentare una risposta capace di proiettare un fenomeno diventato problematico in una dimensione umana e legalitaria, anche perché in molti casi i nodi da sciogliere sono soprattutto di natura giuridica, riguardano infatti il rispetto delle leggi, l’osservanza delle regole, le compatibilità sociali e istituzionali, per non alimentare varie forme di antagonismo sociale.

Di solito le difficoltà arrivano quando il problema che abbiamo di fronte non offre sufficienti garanzie di natura istituzionale, quando non rientra in quell’ordine che ci hanno insegnato, raccontandoci che di fronte alla legge siamo tutti uguali, che ciascun cittadino ha dei diritti e dei doveri, che la nostra libertà termina dove inizia quella degli altri, che il rispetto è la condizione necessaria per vivere in uno stato che sia veramente democratico, non solo a parole.

Abbiamo imparato che vivere in democrazia significa prima di tutto rispettare regole comuni, collaborare, creare un clima di solidarietà sociale, lavorare con impegno e determinazione per rendere più efficiente il paese, per costruire con passione il futuro, per dare forma e sostanza ai nostri diritti e ai nostri doveri. Ci è stato anche detto che quando si va in un altro paese bisogna assolutamente rispettare le regole di quel paese, che bisogna avere un atteggiamento di osservanza e di attenzione, che bisogna dimostrare di essere cittadini coscienti e consapevoli, che il profilo educativo ha un suo peso specifico soprattutto quando lo esportiamo fuori dai confini nazionali, quando la gente ci guarda e ci giudica.

Ci hanno insegnato che esiste un diritto internazionale, che tra gli stati esistono rapporti relazionali sanciti da convenzioni scritte e sottoscritte. Insomma, siamo cresciuti in un clima culturale in cui tutto parla il linguaggio della legalità, della giustizia, del rispetto, della collaborazione e della coerenza, un clima che ci ha permesso di creare un paese amato e invidiato in tutto il mondo.

Abbiamo anche capito strada facendo che non era possibile essere sempre in linea con le formule e la carta scritta, ma abbiamo sempre fatto il possibile per stare all’interno di un sistema giuridicamente e umanamente credibile. Famosi sono diventati il nostro diritto, la nostra cultura, i nostri monumenti, l’arte, l’umanesimo, la solidarietà morale e sociale, la nostra capacità di accogliere, la nostra attenzione nei confronti di persone la cui situazione rientra nel codice internazionale delle regole scritte.

Abbiamo impiegato anni per annunciare al mondo che l’Italia è un paese geniale e creativo, capace di essere migrante e costruttivo, capace di sviluppare ovunque e in qualsiasi condizione le sue abilità. Abbiamo dimostrato di essere un popolo di lavoratori, di saper utilizzare dignitosamente abilità e risorse. Il fenomeno dell’immigrazione è arrivato senza preavviso, si è impossessato del territorio, dei livelli emotivi, scatenando paure e frustrazioni, ha ampiamente superato ogni forma di ordinamento istituzionale, ha imposto tutta la sua drammaticità, senza lasciare neppure il tempo necessario di dare risposte legislative e organizzative adeguate, consequenziarie e soprattutto legali.

Da molti anni osserviamo una sorta di nomadismo interno al nostro paese, con varie forme di bivaccamento, di situazioni che di democraticamente vero non hanno nulla o quasi e che in molti casi hanno rafforzato il fenomeno del disagio e della devianza: randagismo umano, rapine, ruberie, ritorsioni, prevaricazioni, uccisioni, stupri, violenze fisiche e morali, rafforzamento della realtà mafiosa. Dentro un’ accettabile richiesta di aiuto umanitario si sono innescati meccanismi strettamente legati all’ordine pubblico e nonostante un sovrapporsi quotidiano di difficoltà il nostro paese è diventato un raccoglitore a cielo aperto di esseri umani senza identità, senza prospettive serie, senza una possibilità reale d’ inserimento in un paese che ha già una serie notevolissima di problemi legati al lavoro, alla famiglia, alla sicurezza.

Si distribuiscono persone come fossero numeri. Vengono distribuite in paesini di montagna, in località turistiche, nelle zone più impervie, nella maggior parte dei casi senza prevedere e organizzare un’ integrazione vera e propria. Tutto è avvenuto e continua ad avvenire senza una programmazione seria e sulla base di uno spontaneismo che travolge ogni umanissima forma di legalità democratica. Dalla mattina alla sera incontri uomini, donne e bambini che dormono per le strade, nei parchi, in luoghi di fortuna, sostenuti da un volontà che, per quanto straordinaria sia nella sua veste umanitaria, non regge l’assoluta mancanza di strategie, di organizzazioni, di progettualità e di programmazione, tutto o quasi è lasciato al caso, all’improvvisazione e lo stupore aumenta, aumenta il timore che queste persone cariche di speranzosi obiettivi debbano diventare dei nuovi pensionati statali.

In alcuni casi siamo anche spettatori di uomini che arrivano salvati dalla generosità e che pretendono atti umanitari senza a loro volta corrispondere democraticamente quelle forme di legale riconoscimento che stanno alla base di una normalissima convivenza civile. Rifiuti, contrapposizioni, contestazioni, fughe, sparizioni, violenze, negazioni sono parte di una quotidianità che vilipende quel costume democratico nel quale siamo cresciuti e che abbiamo costruito con grande fatica, con infinite privazioni, lottando per dare un profilo credibile al nostro paese.

Qual è il ruolo dell’apparato statale nell’emergenza migranti? Improvvisato, generico, privo di indirizzo organico, lasciato spesso in balia di enti, associazioni, amministrazioni, volontariato locale, la verità è che non esistono risposte plausibili a un fenomeno che si sovrappone sistematicamente a ogni forma di legalità e di democrazia. Diventa sempre più difficile far capire all’Italia, all’Europa e al mondo che non è questa la via democratica della rinascita umanitaria del mondo stesso e che il fenomeno lo si può risolvere solo con accordi seri e produttivi con i paesi di origine.

Nonostante tutto i migranti continuano ad arrivare a migliaia, trovando spesso la morte durante le attraversate. Arrivano con pretese immediate, senza in molti casi fornire le generalità necessarie. Fuggono non si sa dove, mentre il sistema crolla, sempre più incapace di affrontare seriamente le diverse sfumature di un fenomeno molto complesso.

Il Mediterraneo brulica di navi europee che raccolgono naufraghi che vengono sistematicamente trasferiti nei nostri porti, dimenticandosi che quando un profugo sale su una nave ne diventa automaticamente cittadino, perché quel suolo, anche se viaggiante, rappresenta il territorio del paese da cui la nave proviene.

I migranti arrivano sperando di risalire il nostro paese e di congiungersi con altri migranti già presenti nel centro nord Europa, ma senza sapere che l’Europa è diventata un muro vivente, oltre il quale non è possibile transitare. Migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini senza nome e cognome si disperdono, vivendo di espedienti, di sostegni improvvisati e in molti casi diventano manovalanza della delinquenza comune e di quella organizzata.

Mentre la situazione assume sempre di più i toni del dramma, rischiando di creare sacche di violenza di ogni ordine e grado, la politica è assente, non provvede a informare, a far capire a chi l’ha votata quali tipi di iniziative siano in atto per contenere, arginare, contrastare o far convergere un fenomeno senza fine, di fronte al quale la decantata Europa delle civiltà si rifugia nei propri egoismi, lasciandoci in balia di decisioni unilaterali e prive di ogni sostegno. Sembra quasi che qualcuno dall’alto abbia decretato la nostra disfatta, lasciandoci in balia di un problema dal quale non riusciremo a uscire senza pagare un prezzo elevatissimo.

Quello che sta avvenendo denuncia il fallimento dell’Unione europea, dimostra quanto la politica europea attuale sia inefficiente rispetto al succedersi degli eventi e denota un’assoluta mancanza di attenzione nei confronti dell’Italia, il paese che più di tutti si danna per cercare di dare risposte plausibili a un fenomeno di proporzioni titaniche. Una cosa è certa: è assolutamente impossibile che il nostro paese accolga a scatola chiusa senza essere in grado di dare risposte precise all’accoglienza e alle sue necessità, dimostrando altresì che sarà sempre più difficile raccontare alle giovani generazioni il significato di parole come democrazia legalità, rispetto, osservanza, diritto e dovere.

Viviamo una sorta di alba di un nuovo giorno in cui tutto riparte dal caos, da varie forme di negligenza e di superficialità, di incapacità, paure e incertezze. La politica si rifugia in un batti e ribatti che ha tutto il sapore di una silente e caotica follia di parte. Mentre c’è un mondo che avanza e che ci passa sopra la testa, noi siamo qui a parlare di fascismo e antifascismo, di comunismo e di socialismo falso o reale, di movimenti e partiti che si contendono le poltrone del potere, invece di risolvere i problemi reali continuiamo a rinfacciarci demagogicamente colpe e disgrazie.

Ogni giorno ascoltiamo politici che invece di affrontare e risolvere i problemi, scavano ancora di più le loro nicchie, per mettere al sicuro la fetta di potere conquistata in anni di convivenza con la politica nazionale. La decadenza è assoluta, lo è nell’atteggiamento del fenomeno migratorio e lo è nelle cose di tutti i giorni, dove i nostri vecchi, i nostri ammalati, i nostri giovani e i nostri disabili sono sempre più abbandonati, emarginati, lasciati in balia di un vuoto legislativo che fa venire i brividi anche a chi, malgrado tutto, continua a sperare che una luce si accenda e apra finalmente le porte di una razionalità umana ormai scomparsa.

Anche il fenomeno migratorio deve avere regole precise, deve essere parte integrante del diritto internazionale, non può e non deve essere o diventare esercizio di arbitrarietà e di illegalità, non può opporre varie forme di irrazionalità alla ragione di una buona politica e di un sano ordinamento statale. L’immigrazione non è una rincorsa alla conquista di un territorio calpestandone le regole, trattandolo come luogo di uso e consumo, dal quale fuggire senza neppure dimostrare un briciolo di riconoscenza.

Chi entra in un paese lo deve fare accettando le regole di quel paese, rispettandole e chi ha il compito di affrontare le emergenze della politica lo deve fare in nome della legalità e del diritto, della rappresentatività e del buon costume, della costituzione che incontra e di cui deve conoscere il dettato.

La politica serve a questo e non all’arricchimento clientelare, di enti o di gruppi o di lobby e un governo deve dimostrare di avere idee chiare, di essere all’altezza della situazione, altrimenti genera frustrazione e incertezza in chi lo ha eletto e sostenuto. Far finta di niente e sperare che prima o poi la situazione cambierà è una bieca forma di fatalismo senza ritorno. Occorre approntare una forte e concordata politica internazionale che ponga fine al commercio delle vite umane, che affronti la storia, anche quella presente, in modo obiettivo, fornendo prospettive reali, in sintonia con le aspettative di un mondo in cui siamo tutti parimenti responsabili e di cui vorremmo continuare a rispettare quell’ansia di giustizia e di legalità che accompagna fin dalla nascita la vita degli esseri umani.

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