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Cultura

LA LEZIONE DI BERGSON

LIVIO GHIRINGHELLI - 30/09/2016

bergsonLaureatosi in lettere e matematica all’École Normale, Henri Bergson (1859-1941) ottenne il dottorato con la dissertazione “Saggio sui dati immediati della coscienza” nel 1889, rilevando che i progressi e i mutamenti psichici venivano ridotti a sequenze misurabili quantitativamente, ma privati d’ogni elemento qualitativo, mentre il problema centrale per lui, quello del tempo, introdotto simbolicamente nelle equazioni della meccanica, veniva risolto in una successione di istanti statici tutti uguali, perfettamente distinti e reciprocamente esterni, indifferenti alla natura qualitativa dei fatti (non tempo reale, ma astrazione ), onde la necessità di ricorrere alla biologia.

Il processo temporale doveva invece, conservando il passato, creare il nuovo, irriducibile a una somma di istanti. Di qui il concetto di durata, sperimentata dalla coscienza come un continuo fluire vivente e imprevedibile, senza soluzione di continuità. I concetti astratti e rigidi della scienza, la tendenza della psicologia associativa d’impianto positivistico a ridurre l’intensità all’estensione sacrificano la libertà al determinismo, viene meno l’unità organica di atti liberi emananti dall’intera personalità e si ottempera alle regole imposte dal conformismo sociale. Si ha il timore che la scienza si faccia alleata dell’illibertà e della reificazione, siamo agiti più che agire.

Chiamato al Collège de France nel 1897 ottenne un grande successo. L’anno precedente Bergson ha affrontato in “Materia e memoria” il dualismo materia-spirito, estensione-pensiero, necessità-libertà. I due estremi spirito-corpo possono essere espressi come memoria e percezione (la percezione pura è contatto immediato con le cose). Mentre le esigenze pratiche dell’azione frammentano e selezionano i dati dell’esperienza, la memoria pura e spirituale caratterizza la vita profonda della coscienza, raccogliendo la totalità della vita vissuta nella sua spontaneità e creatività. Il corpo però, e in particolare il cervello, si incarica di limitare la memoria totale. Ma lo spirito trascende il corpo riassorbendolo entro la propria durata, perché intelligenza e istinto non sono mai separabili. Quando l’istinto acquista la piena consapevolezza dell’intelligenza diventa intuizione.

Nel saggio sul”Riso” (1900) Bergson ne esalta la funzione di difesa contro l’eccesso di rigidità e di automatismi meccanici tipici di alcuni comportamenti sociali.

Meditando sul concetto generale d’evoluzione, respingendo sia il modello spenceriano (il determinismo), sia l’evoluzionismo finalistico, Bergson pubblica nel 1907 “L’evoluzione creatrice”, passando dal punto di vista psicologico a quello cosmologico. Ne conseguirà nel 1927 il Premio Nobel. Qui l’evoluzione della realtà si presenta come slancio vitale, azione che di continuo si crea e si arricchisce. In vista delle difficoltà del momento le necessità dell’azione fanno selezionare i ricordi, chiamando in causa la memoria per risolvere analogicamente le empasses di volta in volta incontrate.

Torna il concetto di durata, dal carattere concreto e dal valore intensivo, il cui tempo è multiplo, elastico, complesso, privo di un unico ritmo, mentre il tempo spazializzato fa assistere alla dissipazione dell’io, alla sua diretta subordinazione a esigenze sociali spersonalizzanti. L’accento ora batte, più che sul recupero del tempo perduto, sulla proiezione verso il futuro e la spinta dell’universo nella direzione di continue metamorfosi. Per Proust invece la direzione dello slancio vitale è verso l’indietro, nel tempo perduto individuale. L’evoluzione divergente si produce non per addizione o associazione, ma per sdoppiamento e dissociazione. La filosofia diventa così custode di una vita più intensa.

La prima biforcazione evolutiva crea la distinzione tra l’animale e la pianta, che ben presto si arresta nel processo, mentre l’animale grazie al movimento e all’istinto si avventura in varie direzioni (i vertebrati si evolvono sino agli uomini). Ma anche l’istinto è vittima della ripetitività, dell’abitudine. Di qui il sorgere dell’intelligenza umana, capace di produrre strumenti inorganici, rimediando all’insufficienza dell’istinto naturale. Così l’uomo si avvia sulla strada della coscienza e del concetto. L’homo faber precede sempre l’homo sapiens, il momento del linguaggio.

 Il raffinamento dell’attitudine astrattiva è rappresentato dalla scienza (procedimento tipico è l’analisi). Si tratta di un’impresa non conoscitiva, bensì economica, ma è conservato un legame con l’istinto. Il ritorno all’istinto, disinteressato e consapevole, è rappresentato dall’intuizione, organo di una reale conoscenza partecipativa, che si esprime nell’arte e nella metafisica.

Nel 1932 Bergson dà alla luce un suo ulteriore capolavoro: “Le due fonti della morale e della religione”. Alla base la filosofia della vita, elaborata nell’Evoluzione creatrice: polarità nell’élan del senso scientifico conservativo e di quello metafisico creativo. Società chiusa e società aperta si differenziano l’una per i principi morali costrittivi e la coesione data da una religione statica, dottrinale, impostata su un ordine gerarchico, l’altra orientata verso principi morali universali, che privilegia l’esperienza mistica, fonte di una religione dinamica.

 La società industriale contemporanea per essere democratica e non violenta si deve affrancare dalla soddisfazione dei desideri più grossolani, dal benessere esagerato e dal lusso riservati a un certo numero, rispetto all’esigenza di una liberazione per tutti, pena il pericolo di contese sociali, terribili guerre e l’estinzione totale dell’umanità come esito del processo storico.

Bergson riconosce comunque un ruolo ineludibile alle macchine nella creazione di un nuovo ordine, un nuovo salto evolutivo: la mistica chiama la meccanica, la meccanica esige una mistica, cioè un supplemento d’anima. La religione, con la forza del mito, ha posto nel passato un argine agli eccessi dell’individualismo. Ora bisogna fare forza sull’intuizione e sulla tecnica al fine di perseguire un moderno “amore universale e attivo”.

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