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Presente storico

DERIVE DEL “NOISMO”

ENZO R. LAFORGIA - 13/10/2016

italianDunque… Ci sono gli Italiani… e poi ci sono gli Italiani napoletani e gli Italiani siciliani. Questa, almeno, è la bizzarra idea che sembrerebbe emergere dal censimento degli studenti proposto in Inghilterra all’inizio del nuovo anno scolastico. L’idea è, appunto, bizzarra. Ma questa originale forma di schedatura è sopraggiunta proprio nel momento in cui, sempre in Inghilterra, la London School of Economics decideva di escludere dai propri progetti di ricerca i «non britannici».

Perché da sempre ci sono i «Noi» e poi ci sono «Gli Altri». Lo abbiamo scoperto anche qui, in questa felice isola che si chiama Varesotto, collocata in quella prospera zona d’Europa che si chiama Lombardia, il 25 settembre scorso. In quella data, i nostri vicini ticinesi si sono espressi con un «Sì» alla proposta di modifica costituzionale «per la salvaguardia dell’identità ticinese, contro l’immigrazione di massa e il dumping salariale», promossa dall’Udc. In sostanza, i datori di lavoro svizzeri avranno l’obbligo, nelle assunzioni, di dare la precedenza ai residenti rispetto agli stranieri. «Prima i nostri!» si chiamava l’iniziativa dell’Udc, dell’Unione democratica di centro. Lo stesso movimento politico, per intenderci, che nel 2014 definiva i lavoratori frontalieri italiani come «ratti», ricorrendo ad una abusata metafora razzista volta alla animalizzazione dell’altro. (Già quattro anni prima, una anonima campagna xenofoba, sempre in Ticino, aveva rappresentato i frontalieri italiani come topi voraci all’assalto del formaggio svizzero. A tal proposito, varrebbe la pena rileggere un breve articolo di Ferdinando Camon, Quando si animalizza il “nemico” prescelto, pubblicato sull’«Avvenire» del 30 settembre 2010.)

Noi, noi lombardi e padani (qualunque cosa significhi tale identità immaginaria), conosciamo bene questi argomenti. Proprio in questi giorni, ad esempio, l’onorevole della Lega Nord, Paolo Grimoldi, ha denunciato l’iniziativa del Ministero dell’Interno volta a sostenere economicamente i ritorni volontari nei Paesi d’origine di cittadini provenienti da Colombia, Ecuador, Perù, Ghana, Marocco, Nigeria e Senegal. «Queste persone – ha dichiarato il deputato leghista – si possono rimpatriare gratis, senza dargli un centesimo, e i tanti soldi risparmiati si potrebbero usare per aiutare i nostri […] in difficoltà». Del resto, in nome dello slogan «Prima i nostri!», nell’ultimo quarto di secolo abbiamo assistito, in questa isola felice d’Italia, a campagne volte a privilegiare i «padani» nelle liste d’attesa degli asili nido, nell’assegnazione delle case popolari, nell’assunzione degli insegnanti.

Luigi Luca Cavalli-Sforza, uno dei più importanti genetisti del mondo, spiega che il «Noi», sul piano genetico ha quasi la stessa funzione dell’«Io»: «Oltre alla necessità di preoccuparsi di sé, cioè alla tendenza alla sopravvivenza individuale, a ciascun essere umano si presenta la necessità di prendersi cura del noi, ovvero di cooperare con gli altri», il proprio gruppo o la propria comunità di appartenenza. Fin qui, nulla di cui doversi preoccupare: il «Noi» assume in tal caso un valore decisamente positivo. Almeno fino a quando il prendersi cura dei «nostri» non si traduca nell’esclusione dell’altro. Ma così come il prendersi cura eccessivamente di sé diventa «egoismo» nel momento in cui si traduce in ostilità verso l’altro, allo stesso modo, il prendersi cura eccessivamente di «Noi», nel momento in cui scivola pericolosamente in una manifesta ostilità verso gli altri, darebbe vita al «Noismo», che rischia facilmente di degenerare in quell’atteggiamento e in quelle pratiche ascrivibili a ciò che comunemente definiamo «razzismo».

Tutti i popoli, credo proprio in ragione di ciò che spiegava Cavalli-Sforza sul piano genetico, percepiscono se stessi come «uomini» e tutti gli «altri» come «non uomini». È singolare il caso della popolazione dei bribri del Costa Rica. Secondo quanto afferma lo scienziato Guido Barbujani nel suo L’invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana, del 2006, i bribri ridurrebbero tutta l’umanità in due categorie: i bribri, appunto, che significa «uomini»; e gli ña. Con il termine ña si indicherebbero tutti gli altri. Ma il termine ña è usato anche come corrispettivo della parola «cacca».

Sappiamo, per esperienza e per storia, che esiste un sud per ogni nord, come esistono sempre «Gli Altri» per «Noi». Tuttavia, c’è sempre il rischio che una certa idea di alterità (di inferiorità) venga elevata a categoria dello spirito, ad una sorta di tipologia umana a-storica. Nel racconto di Italo Calvino intitolato Tutto in un punto, del 1964, lo scrittore immaginava cosa fosse la realtà quando, prima del big bang, era concentrata in un unico punto di materia. Ebbene, anche in quella condizione, senza tempo e senza spazio, c’era stato qualcuno che aveva iniziato a definire gli Z’zu con il termine di «immigrati». Tale definizione, scrive Calvino, «era basata sulla pretesa che, mentre gli altri erano lì da prima, loro fossero venuti dopo». E ancora, continua lo scrittore, non essendoci in quell’unico punto né un prima né un dopo né un altrove, «c’era chi sosteneva che il concetto di “immigrato” poteva esser inteso allo stato puro, cioè indipendentemente dallo spazio e dal tempo». Insomma, un po’ come quando Sartre, nel 1944, affermava che «se l’ebreo non esistesse, l’antisemita lo inventerebbe». Perché alla fine il rischio, in questo gioco perverso del «Noi» e degli «Altri», è sempre quello di franare verso gli imprevedibili effetti di quel falso sillogismo di cui parlava Primo Levi: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager».

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