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Cultura

CARO MOCK, CARO CARLO

LUISA NEGRI - 13/10/2016

 

Sacro Monte di Varese, 27 maggio 2001.

La sera sa di fior di sambuco e gelsomino. Il cielo non promette nuvole. Si sta bene. Lui dice che è venuto il momento di mettersi in cammino, pregando. E inizia la conta delle avemaria. Alla Quarta si ferma: “Vi parlerò di questa ragazza, morta a quattordici anni per un tumore. Ciò che lei dice mi trova in sintonia. Cioè dice che ci sono solo due possibilità: o il miracolo o la morte. Lei prega per il miracolo, perché ama la vita e ha ancora tanti progetti. Ma anche la morte è bella, perché apre all’eternità. Quindi entrambe le possibilità sono buone”. Come dire, non bisogna essere tristi. E la serata invita alla serenità. Qualcuno si commuove. Lui riprende il cammino, dopo che le ultime note di violino se ne sono andate come lucciole. Il suo passo non è veloce, la sua camminata è affaticata, sul suo volto un debole sorriso, un po’ forzato, comunque meraviglioso.

Il rapporto tra due fratelli che si vogliono bene è qualcosa di ineguagliabile. Se poi i fratelli sono addirittura quattro può essere una festa quotidiana. Lo è stata per anni la vicinanza tra Carlo e Marco, secondo e terzogenito, dopo Guido, il primo nato di Ines Ravasi e Mario Zanzi, che nel ’63 metteranno al mondo un altro figlio, Paolo.

L’infanzia negli anni Cinquanta, tra scuola e oratorio, trascorre nel socializzante quartiere Garibaldi di Biumo Inferiore, così come la giovinezza che li prepara alla vita negli anni Sessanta.

A tenere vicini nel tempo Carlo e Marco, detto Mock, sono i tanti interessi comuni: lo sport, come l’atletica e la bicicletta, e la musica, una passione trasmessa dalla madre insegnante, ma anche le gite in montagna e la voglia di viaggiare. Questa si deve all’esempio di papà Mario, pioniere di gloriose trasferte estive sulle prime utilitarie affollate di persone e bagagli degli anni del boom economico.

Sceglieranno persino gli stessi studi, l’ISEF, e poi lo stesso mestiere di docente di scienze motorie. Neppure gli anni della maturità, con le quotidiane fatiche e il carico delle amate famiglie, li possono allontanare. Ancora insieme, nella vita e nella musica, chitarra Carlo e banjo Mock. Ma in questo è Marco il più bravo, suona soprattutto con l’altro fratello, Guido. Marco eccelle e si segnala per le sue doti di musicista, accadrà anche in America e Australia, dove fa incontri importanti che si muteranno in amicizie professionali di altissimo livello: con Ray O’Neill, Bob Wall e Ronald Martin detto Ron.

Il genere è principalmente quello country. Incide numerosi cd, partecipa a concerti, è parte di una band musicale: la “The Piedmond Brothers band” che s’allarga ad altri continenti. E sogna e progetta ogni giorno nuovi percorsi di vita e di musica.

Ma è fatale che sul felice cammino dei fratelli Zanzi e della loro grande, affiatata famiglia, il passo di uno debba cedere all’inciampo: la malattia e la paura della morte bussano alla porta di Mock. La diagnosi, un tumore al pancreas già in fase avanzata, è la verità buttata in faccia dal destino a lui e alla famiglia, tutti coinvolti in quel dolore per anni, tutti avvinti dalla stessa speranza che il fratellino possa farcela. Finché la malattia, dopo un secondo intervento chirurgico, avrà il sopravvento. È il 6 agosto del 2015.

Carlo, giornalista e scrittore, condivide quel dolore giorno per giorno. E fin dall’inizio fissa nel suo cuore, ma anche sulla carta, i progressi del fratello malato, le paure e i dubbi, la speranza e l’accettazione serena di quel destino, compreso il dolore che Marco riceve come un dono offerto da Dio.

Oggi quel difficile cammino assieme a Mock è diventato un libro (“Marco Mock Zanzi, the banjoman”), pubblicato per i tipi di Macchione, una raccolta di pensieri e pagine di diario, di fotografie e poesie, di lettere scritte da parenti e amici per il fratello, di riflessioni di Carlo e dello stesso Mock nel segreto della propria stanza e del dolore.

Ma non è meno forte il dolore di Carlo, che quando assiste l’altro ne deve arginare paure, amarezze e dubbi, ma soprattutto deve contrastare la personale incapacità ad accettare quell’ingiustizia inflitta al fratello, la rabbia contro il destino che irrompe In una famiglia felice e minaccia di rimanerci, sospesa sul cielo di un’intimità domestica turbata dal pensiero della morte. Il dubbio della fede lo scuote, gli pone domande difficili.

Eppure sappiamo dal racconto di Carlo che quella malattia genera anche nobiltà, amore, e una generosità sconfinata che ha portato Marco a esibirsi con il suo banjo in un’afosa notte d’estate, è il 12 luglio, che sarà anche l’ultima estate della sua vita. Quella notte Mock canta con l’amata figlia Cecilia, e il loro comune canto è un Gloria infinito che sale al cielo.

A muovere l’autore a scrivere il libro è stato il desiderio di accompagnare ancora un poco il cammino del fratello, ma ci sembra evidente lo scopo di fissarne per sempre i momenti fondamentali nel tentativo di far luce sul mistero che accompagna anche ciascuno di noi, dal primo respiro fino all’ultimo della vita.

Carlo ha stipato nel libro tutto quanto era a sua disposizione, come si fa nel riempire una valigia di cui non si può fare a meno, e dove si vorrebbe farci stare tutto, col solo proposito di poterlo aprire ogni volta che si desidera per frugare tra i ricordi, per risentirne il profumo, e cercare ancora risposte alle infinite domande che s’affollano la sera.

Non mi illudevo di riuscire a portarvi Marco nella sua completezza. Ho lasciato tracce scritte della sua fragile bellezza. Scrivendolo ci siamo fatti compagnia, abbiamo anche pianto insieme, sorriso, suonato e cantato. Ora abbraccio Mock nella speranza che mi dica: bravo Carlo, hai fatto un buon lavoro.

Caro Carlo, il vostro fraterno amore, la complicità bella di due fratelli, rimasti giovani sempre, s’allarga agli altri, ricade come un dono prezioso su chi vi ha ascoltato e ancora vi ascolta dalle pagine che hai voluto raccogliere per lui.

 Non una di queste pagine appare inutile. Tante voci fraterne e amiche vi si mischiano, tanti momenti, sospiri e paure, lacrime e rassegnazione. Ma anche sorrisi e promesse di certezze.

Da quel volume prezioso di lettere, pensieri e poesie, di racconti sereni e resoconti drammatici, trabocca amore e s’accende un barlume di speranza.

Così, lasciacelo dire, questo tuo progetto di parole vola alto, proprio come il progetto di vita che Mock da sempre aveva desiderato per se stesso e per chi gli stava a cuore.

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