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Urbi et Orbi

MATTINATA ROMANA

PAOLO CREMONESI - 13/10/2016

La Porta Santa in S. Maria Maggiore

La Porta Santa in S. Maria Maggiore

Una luce mattutina limpida e tagliente, come solo certe ottobrate romane sanno regalare, illumina piazza Venezia. Pattuglie della polizia sorvegliano la zona, uno svogliato mezzo dell’Ama raccoglie i rifiuti, pochi turisti: è ancora presto. All’inizio di via dei Fori Imperiali, sotto la Colonna Traiana, si radunano giovani e famiglie. Prima pochi, poi nell’arco di una ventina di minuti centinaia. Sono le otto. Una croce e un megafono guidano questo pezzo di popolo sotto lo sguardo curioso dei passanti.

È il gesto con cui Comunione e Liberazione di Roma ha cominciato l’anno sociale: un pellegrinaggio sino a Santa Maria Maggiore per passare sotto la Porta Santa del Giubileo della Misericordia ormai prossimo alla fine.

“Nel secondo mistero glorioso…”. Le Ave Maria planano dolcemente lungo la via. I misteri sono intercalati da brevi letture: ” La Madonna, il giorno dopo l’annuncio, nella luce mattutina nuova, decise di andare subito ad aiutare la cugina Elisabetta. È la carità quella che nasce da questa luce mattutina con cui anche noi ci alzeremo tutte le mattine per affrontare le ore della giornata”. Anche i turisti in fila agli ingressi dei siti archeologici, ascoltano.

A metà dei via dei Fori si intravede tra le rovine la sagoma di Santa Maria Antiqua. È una delle più antiche chiese di Roma con affreschi del sesto secolo, solo da pochi mesi è tornata agibile al pubblico. La sua storia è davvero particolare: è sparita sotto i crolli del terremoto dell’847 dopo Cristo. Per più di mille anni non se ne è parlato sino alla riscoperta con gli scavi di Giacomo Boni nel 1900. Mi piace pensare che come i colori e i suoni di quella comunità sono rimasti per secoli sepolti ma non morti sotto la terra, così il rosario, il cammino, i canti di questa mattina riportano alla luce nella città una esperienza cristiana mai totalmente sepolta.

Viene in mente Pasolini: “Guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sul mondo, come i primi atti del Dopostoria, cui io sussisto, per privilegio d’anagrafe, dall’orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. Io feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più”.

A metà mattina imbocchiamo via Cavour. I vigili hanno provveduto a fermare il traffico del sabato. A ogni incrocio ci sono auto in coda. Mi aspetto arrabbiature, clacson e proteste. Ma così non è: i conducenti, le famigliole dirette forse a qualche centro commerciale guardano in silenzio. Dai balconi di decine di alberghi scattano foto. Davanti a me qualche fila scorgo tra le centinaia di pellegrini mia figlia Mariagiulia. È la primogenita, entrata in un ordine di suore missionarie. Cammina svelta con un gruppo di sorelle.

Che cosa avrà visto anche nella mia vita (che ai miei occhi sembra un catalogo di distrazioni, fragilità, treni perduti ) per compiere una scelta oggi così controcorrente? Mi guardo intorno e trovo la risposta: una storia, un sì a un avvenimento accaduto: oggi bene simboleggiato in questo popolo che a serpentina attraversa, cantando e pregando, le strade di Roma.

Ancora una mezz’ora di cammino e ecco Santa Maria Maggiore. Più che una basilica, una casa. Dove papa Francesco si reca a pregare al termine di ogni viaggio apostolico. Le file ai metal detector sono estenuanti ma fanno parte anch’esse del gesto del pellegrinaggio. Si entra dalla Porta Santa. Ci si inginocchia. In fondo alla navata sulla sinistra l’icona della Vergine Salus Populi Romani. Veniamo ai piedi della Madonna come mendicanti di misericordia. Ancora più coscienti di essere bisognosi. “Chiediamo” scrive il Papa ” di non avere paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne”.

Fuori: il traffico, le code, le liti, i colleghi di lavoro, il condominio, le bollette, la politica, la Raggi, il referendum. Che guardi all’uscita con occhi più lievi, distaccati e commossi.

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