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Cultura

DOSSI, CHI ERA COSTUI?

RENATA BALLERIO - 21/10/2016

dossiIn questi ultimi giorni,  anche in relazione all’assegnazione del premio Nobel,  si è  parlato di letteratura. Come spesso capita  nel vociare mediatico si è detto tanto, forse troppo: slogan sdoganati come approfondimenti, semplificazioni a effetto e altro ancora e non sempre rispettoso  del consiglio valido per gustose ricette, il cosiddetto q.b.  Il quanto basta, però,  non esonera a  non interrogarci sulla funzione della letteratura.

Ognuno di noi, specialmente se lontano  dal mondo della scuola, ha, come un Pollicino che non vuole smarrirsi,  punti di riferimento e si aggrappa ad aforismi custoditi  nello scrigno della personale memoria. Per Oscar Wilde la letteratura è quanto non viene letto, per Roland Barthes essa non permette di camminare ma permette di respirare e, se accettiamo una delle definizioni donateci da Manganelli, la letteratura deve  essere un gesto provocatorio.

Se utili possono essere  le sintetiche affermazioni, quello che deve davvero contare  (ogni tanto si deve ricorrere all’ovvietà)  sono i testi   generati da uomini e donne  che hanno creduto nella forza della  parola scritta.  Magari sono autori  lasciati in ombra nei percorsi scolastici, se non addirittura bocciati da una certa cultura   o nascosti in nicchie segrete per pochi appassionati.

Per questo  motivo, quasi come rimedio omeopatico, è vitale un esercizio di ricerca  di chi, forse poco letto o conosciuto,  è stato capace  con le parole  di suscitare reazioni e di ossigenare la cultura “laureata”. Un esempio? Carlo Dossi. Anche se per ragioni  anagrafiche (e ovviamente non solo per questo) non avrebbe mai ricevuto il premio Nobel, istituito partire dal 1901, è profondamente ingiusto non leggerlo e non conoscerlo.

Non c’ è dubbio che  qualcuno sa  che per qualche tempo a partire dal 1875  si era trasferito da Milano, in “campagna”  a Induno Olona, dove  in una parte della villa del conte Porro, in affitto,  visse isolato e incominciò a scrivere uno dei suoi testi più ricordati, Desinenza in A. A onor del vero il comune di Induno Olona nel 1998  gli rese omaggio con un convegno  i cui atti – pare – non esistono o per lo meno non sono reperibili ai più. Eppure Dossi, nato a Zenevredo, in provincia di Pavia, nel 1849,  fondatore a diciotto anni   della Palestra letteraria, intorno alla quale si raccoglieva la Scapigliatura milanese,  e  coraggioso scrittore  che pubblicò a soli diciannove anni  il suo primo libro, intraprendendo non certo per convinzione la carriera  ministeriale a Roma,  diventando anche  console generale a Bogotà, è uno scrittore  dal linguaggio “fragante ma spinoso”,  puzzle di termini dialettali e di neologismi, zampillanti da una sintassi  spesso contorta, con incredibile forza  espressiva, anzi espressionistica.

Genialmente capace di provocare anche  con forzature ortografiche, quali aqua, un bel qua’, accentato, icastico nell’uso di termini come fannulloni.  Ma la sua lingua non fu mai un gioco letterario e espediente retorico, perché era  funzionale a una scrittura  animata da polemica. Lui che amava vivere isolato, quasi incapace di vivere una vera vita di relazioni sociali, sapeva aggredire la società, con un umorismo amaro. Non è facile leggere Dossi, obbliga il lettore a battagliare con il testo. Le costruzioni di personaggi  catturati anche nei loro atteggiamenti negativi (esempio la galleria di personaggi nei Ritratti umani, dal calamajo di un medico) possono essere  non adatte  a chi ama farsi coccolare dalle pagine di una certa letteratura ma  sa accettare sciabolate  del tipo “Mondo felice, se chi, non sapendo parlare, sapesse almeno tacere!… E sapesse amare  con coraggio la letteratura.

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