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Storia

UNGHERIA/1 LEZIONE DI LIBERTÀ

CESARE CHIERICATI - 27/10/2016

ungheriaQuella mattina del 5 novembre 1956, esattamente sessant’anni fa, noi alunni della terza A, maschile, della scuola media Silvio Pellico (le classi miste non erano ancora state sdoganate) ci presentammo in classe convinti di dover affrontare due ore noiosissime di latino, come da orario scolastico. Invece il professor Scampini (non ricordo più il suo nome di battesimo e me ne rammarico) entrò in classe più trafelato del solito, salì in cattedra e disse di riporre i libri di latino perché avremmo dedicato le due ore in programma all’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe sovietiche. Una scelta didattica all’epoca davvero inusuale che ricordo ancor oggi come un gesto educativo straordinario.

I primi carri armati avevano attaccato improvvisamente Budapest il giorno prima, 4 novembre. Con la rigida chiusura della “cortina di ferro” e con la divisione, dopo Yalta, dell’Europa in due precise zone d’influenza, l’Ungheria era un paese uscito dagli orizzonti culturali italiani, figuriamoci da quelli di noi ragazzini tredicenni. Solo chi aveva letto I ragazzi della via Paal, di Ferenc Molnar, sapeva qualcosa di quel mondo così lontano; allo stesso modo però chi amava il calcio non poteva non sapere che la nazionale magiara, pur inopinatamente sconfitta dalla Germania ai “mondiali” svizzeri del ’54, i primi trasmessi dalla televisione, era la squadra più forte del mondo. Infatti dopo il fallimento della rivolta molti suoi campioni riuscirono a fuggire in occidente trovando ben remunerata ospitalità nei grandi club spagnoli.

Il nostro insegnante di lettere entrò nel merito della delicatissima questione geopolitica ungherese attraverso la vita di un grande poeta e patriota, Sandor Petofi,volontario nella guerra di liberazione del 1848 e morto allora in circostanze mai del tutto chiarite. Raccontò a lungo di lui e dettò una sua poesia che parlava di libertà e di uguaglianza in una società magiara dominato dalle oligarchie nobiliari e monarchiche. Il messaggio era chiaro: le aspirazioni alla libertà e all’indipendenza avevano in Ungheria radici antiche, solide, profonde. Era dunque nell’ordine delle cose che l’oppressione del regime comunista, salito al potere nell’agosto del 1949 con il decisivo appoggio dell’Urss, venisse sempre meno tollerata.
Per me e per alcuni compagni fu una rivelazione. Da quel pomeriggio tenni sempre la radio accesa. Grazie ad avventurosi collegamenti era l’unico media in grado di seguire alcuni avvenimenti in diretta. Ricordo in particolare le cronache di un eccezionale inviato della sede Rai di Milano, Vittorio Mangili. Raccontava angosciato come gli studenti cercassero di fermare i tank russi, che falciavano con le mitragliatrici i grandi viali della capitale, gettando nei cingoli bottiglie incendiarie. Famosi inviati speciali come Egisto Corradi ed Indro Montanelli testimoniarono quel dramma. Montanelli raccolse poi in un libro, I sogni muoiono all’alba, i suoi reportage. Ne vennero tratti anche una pièce teatrale e un film con un’intensa Lea Massari. Con loro a Budapest c’erano naturalmente numerosi fotografi che trasmettevano, grazie all’innovazione tecnologica delle “telefoto”, immagini in tempo quasi reale. Ricordo due foto in particolare: una con i libri del Partito Comunista bruciati dai cittadini in una strada del centro, l’altra con il corpo insanguinato di Jean Louis Pedrazzini ai piedi di un carro armato sovietico. Era un cronista della Tribune de Geneve, aveva 23 anni.

Scoppiata il 23 ottobre del ’56, la rivolta si concluse poi tra il 9 e l’11 di novembre. Imre Nagy e il generale Pal Maléter, rispettivamente primo ministro e ministro della difesa favorevoli a una svolta liberalizzatrice, furono arrestati a tradimento nella sede del comando sovietico dove erano andati per negoziare una tregua. Condannati a morte vennero giustiziati il 17 giugno 1958 con il consenso quasi unanime dei grandi capi del comunismo internazionale. La tragedia ungherese fu un grave vulnus per l’immagine dell’Urss, il primo passo di un processo di lenta dissoluzione che, attraverso altre dolorose tappe, avrebbe portato alla caduta del muro di Berlino 33 anni dopo.

Peccato davvero che le politiche degli attuali governanti ungheresi abbiano tenuto, nei giorni delle commemorazioni, molti leader europei lontano da Budapest silenziando così di fatto la memoria di quegli indimenticabili avvenimenti.

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