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Società

VOTIAMO PER L’AMORE

LUISA NEGRI - 27/10/2016

Il Pio Albergo Trivulzio in un dipinto di Angelo Morbelli (1903)

Il Pio Albergo Trivulzio in un dipinto di Angelo Morbelli (1903)

Recenti e attuali vicende, riprese dalla stampa nazionale, riportano alla ribalta per l’ennesima volta una realtà tristissima e inaccettabile: quella della violenza quotidiana esercitata in strutture che dovrebbero essere di asilo e cura per anziani e minori. Si tratta di una realtà con cui ci stiamo purtroppo abituando a confrontarci. Gli scandali degli ospizi d’oro -che toccarono in un passato non lontano anche il nostro territorio- gestiti da gente impreparata e disonesta, vere e proprie reti di delinquenza legittimate da chi non sapeva , o non voleva, vigilare con la dovuta attenzione, sembrano ripresentarsi oggi ovunque, con modalità e vicende non dissimili, per di più estese, oltre che al mondo degli anziani, a quello dei bambini.

Le due componenti più indifese della società, quelle cui dovrebbe essere riservato il massimo dell’amore e dell’attenzione, risultano così essere i mondi maggiormente esposti a una cultura della sopraffazione e dell’ ignoranza brutale, nell’accomunante indifferenza, che alla lunga prevale sull’ immediata indignazione di chi viene a conoscenza di quanto sempre più spesso vediamo in televisione o apprendiamo dai giornali: dove i cosiddetti assistenti sono gli attori di inquietanti rappresentazioni quotidiane, aguzzini di inermi vecchi e bambini, vittime di sopraffazioni verbali e fisiche. Schiaffi, pugni e calci, morsi, costrizioni ai letti, accompagnate da frasi di odio e di minacce, scuotimenti e trascinamenti violenti dei deboli corpi, e chi più ne ha più ne metta, sono le cure riservate ai disgraziati ospiti. Veri lager, insomma , dove si consumano quotidiane atrocità di ordinaria sopraffazione.

Si dirà giustamente: non tutti gli asili per bambini e i ricoveri per anziani sono per fortuna così. Anche in questo campo ci sono certo numerosi e lodevoli esempi.

Ma è vero anche che troppe sono ormai le strutture, seppur lautamente sostenute da soldi pubblici e/o privati, a venire colte in siffatte situazioni, grazie ai video controlli effettuati dalle forze dell’ordine. Ne fanno testo anche episodi di questi giorni: nel momento in cui scriviamo, 25 ottobre 2016, un video del Corriere della Sera mostra le violenze verbali e fisiche di una maestra elementare di Milano inflitte ai giovanissimi scolari. Gravissimi episodi dello scorso mese portano invece all’attenzione i filmati di cronicari di Vasto e di Salerno dove si consumavano violenze sui ricoverati. Altri episodi e altre immagini si riferiscono a violenze su minori di asili nido segnalate negli ultimi mesi in Sicilia e Lombardia. Se si ha il coraggio di navigare sul Web per cercarne la conferma non resta più alcun dubbio sulla diffusione del fenomeno. Giornali on line e televisioni vi possono restituire, dal nord al sud del Paese, articoli, immagini e video, recenti e attuali, su di un campionario, un affresco, chiamatelo come volete, infinito e inquietante, di quanto stiamo dicendo. Provate a verificare.

E allora non si possono, non si devono più nascondere le colpe di tutti, a partire innanzitutto dall’incuria di chi dovrebbe vigilare, prevenire o reprimere, per tenere alto il livello dell’ assistenza. Gli organismi di controllo istituzionale e legale, l’assistenza sociale, e ogni organismo cui competa tale compito, devono pretendere e cercare di garantire al grado massimo l’ adeguata preparazione e assoluta affidabilità delle persone impegnate, dai titolari o gerenti, ai dirigenti, ai medici responsabili, agli infermieri, al corpo insegnante di nidi e asili, fino all’ultimo degli addetti.

A costoro si devono richiedere doti provate di capacità professionale, e soprattutto di umanità, di pazienza e attitudine al rapporto interpersonale. Trattare con soggetti fragili e bisognosi di attenzione, quali sono gli anziani e i minori, non è da tutti. Tanto più se il sostegno giornaliero è richiesto in una società che, sempre più , anche in famiglia, dimostra di non trovare il tempo per occuparsene.

Le difficoltà economiche del momento, la precarietà dei contratti di lavoro, certo possono contribuire a questo. Ma anche la ormai dominante mentalità, che ritiene preminente dedicare il maggior tempo al lavoro fuori casa , più che alla cura degli affetti familiari, cui si guarda ancora stupidamente con una lente da femminismo ideologico vetusto, in un compatimento strabico e antiquato -da vecchio abito indossato al contrario-, tutto ciò induce le famiglie a dedicare sempre meno tempo ai propri cari.

Così per esempio, nonostante la tecnologia offra i mezzi per utilizzare la casa come luogo di lavoro, tendenza che s’afferma sempre più , e anche tra gli uomini, in paesi tecnologicamente ben più all’avanguardia del nostro, la giornata lavorativa extra moenia da noi si va invece allungando: non solo per gli uomini -che continuano però ad essere, pur a parità di tempo e lavoro, i maggiori percettori di reddito- ma anche per le donne. Costrette alla fine, più di quanto non lo siano mai state, a delegare in buona parte la cura della famiglia per prestarsi spesso al circolo vizioso di un estenuante, e doppio turnover, in casa e fuori casa.

Ne deriva, secondo anche autorevoli osservatori, un abbrutimento in parte evidente, in parte sommerso, dei rapporti interpersonali – abbrutimento di cui per ora vediamo solo la punta dell’iceberg- tanto nella società, che nel contesto familiare: anche perché a prevalere, accanto all’ indiscutibile necessità del guadagno, s’aggiunge un bisogno ossessivo di auto affermazione. La coppia bicarriera o “la famiglia corta”, per dirla con Sivia Vegetti Finzi, è quella che non riesce a trovare il tempo neppure per mettersi a tavola assieme. Il tradizionale pasto, il momento con la coppia o la famiglia riunita a tavola, lascia sempre più il posto al panino o alla schiscetta vegana consumata coi colleghi.

Non è difficile allora che l’inadeguatezza di strutture impreparate all’accoglienza possa trovare, in un contesto societario simile, di distrazione e disaffezione verso il nucleo familiare, il milieu ideale per proliferare. Come un’alga vorace e malefica che si nutre delle disgrazie, delle povertà, ma anche soprattutto di disattenzioni e controlli frettolosi e superficiali di chi non può o non intende fare scelte diverse.

Ma di una maggiore attenzione ai nostri cari, quelli che almeno dovrebbero essere tali per noi, siamo tutti chiamati a farci carico. Nessuno se ne può tenere fuori. Non distruggiamo i valori fondanti: quelli della cura e dell’amore per le persone che vivono accanto a noi e nella società di cui siamo parte.

Ragioni etiche, ma anche ragioni di necessità pratica e di responsabilità, ce lo chiedono e impongono. Senza amore non si costruisce niente. Nessuna riforma politica, nessuna imposizione burocratica, nessun attestato di benemerenza potrà mai risanare una società, se questa appare fondata sull’egoismo individuale piuttosto che sull’attenzione, sul rispetto e sull’amore per l’altro.

Davanti agli asili vediamo ogni giorno sostare sempre più anziani nonni in attesa dei nipotini. I loro fragili mondi si incontrano e convivono felicemente. Li incontriamo mentre spingono carrozzine per le strade e nei parchi.

E li sappiamo sempre più coinvolti, in casa e fuori casa, nell’accudimento quotidiano , che può durare intere giornate, col sorriso sulle labbra. Sono loro il valore aggiunto di un mondo che spesso corre troppo in fretta e in superficie.

Insieme, vecchi e bambini, sono la saggezza del tempo e il seme della speranza.

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