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Stili di Vita

SULLA PERMALOSITÀ

VALERIO CRUGNOLA - 04/11/2016

Stavolpermalosota un articolo breve. Confesso, è anche un espediente per assolvere formalmente il mio dovere settimanale in un momento in cui ho poche forze e ancor meno tempo.

Ma non si tratta solo di questo. Desidero tentare di promuovere l’apporto discorsivo dei miei meno di trenta lettori, un esperimento di lavoro su di sé, una bozza di riflessione autobiografica su un’esperienza esistenziale che tutti incontriamo, in noi e negli altri: la permalosità.

Non un temino scolastico: auspico un contributo libero, essenziale e soprattutto vissuto; il frutto di un’indagine interiore e non di una riflessione astratta. Attendo entro il prossimo venerdì il vostro apporto nella mia casella di posta elettronica: crugnolavalerio@gmail.com.

Nell’articolo di risposta terrò conto, senza fare nomi, dei passaggi più significativi, per dare una sintesi ad una discussione purtroppo non orizzontale, ma che di necessità converge esclusivamente su di me.

In un’epoca di ipertrofia dell’ego e di uno stato permanente di belligeranza e di difesa l’un contro l’altro armati, la permalosità è una passione reattiva molto diffusa. In via generale, è la degenerazione dell’amor proprio in un aspro e puntuto quanto vacuo orgoglio.

La permalosità danneggia le relazioni; le costringe o ai compromessi di un meschino quieto vivere, quali l’ipocrisia, la supina compiacenza e l’omissione, o a reazioni conflittuali di tipo frontale, o ‒ peggio ‒ ad astiosità oblique; coniugandosi con la vanità, fa da velo alla vista e al sentire, un velo opaco che tutto adombra; impedisce l’esercizio dell’ironia e dell’autocritica, l’ammissione dell’insufficienza delle nostre prospettive e la messa a fuoco dei punti di criticità per superarli insieme; crea un ostacolo spesso insormontabile a un confronto sincero e a un ragionare comune; esaspera l’attaccamento a se stessi e alle proprie posizioni, alle proprie inclinazioni o ai propri desideri; l’«io» stenta a riconoscersi anche in un «noi», vi si antepone, o subisce il «noi» per costrizione o disciplina o sottomissione indocile ad una volontà individuale o collettiva che ci sovrasta; molto spesso non rende possibili le scelte migliori entro un rapporto d’amore, d’amicizia o di consanguineità, o entro un lavoro in comune o un impegno condiviso; trasforma le incomprensioni in screzi o guerricciole di potere che, se esasperate, schiudono abissi di miseria.

Quasi ogni giorno, nella vita privata e in quella pubblica, mi imbatto nella permalosità (inclusa la mia, non faccio eccezione), che tutti dovremmo provare a debellare o almeno a sfuggire, neutralizzandola.

Tendiamo di frequente a sfuggire l’impatto con la realtà. La permalosità è un paracadute che in una intenzionalità distorta dovrebbe proteggerci, ma ha un difetto: spesso non si apre. E a quel punto i guasti relazionali diventano difficilmente rimediabili e sormontabili. La fuga spesso diventa la sola via d’uscita ad uno scacco interpersonale reciproco.

La vita tuttavia ammaestra, e lentamente può indurci a debellare la nostra permalosità, o a smussare con cura quella altrui. Il beneficio si coglie presto: più reciprocità, più fiducia, più scambio, più sincerità. Il guadagno è palpabile. Ma occorre l’occasione per sperimentarlo e metterlo a frutto.

Or dite la vostra, che ho detto la mia…

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