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Incontri

RAGIONI PER CAMBIARE

GUIDO BONOLDI - 11/11/2016

referendumIn questi mesi ho avuto la possibilità di ascoltare, sul tema della riforma costituzionale approvata dal Parlamento, che costituirà materia del referendum del prossimo 4 dicembre, l’opinione di illustri giuristi, come Sabino Cassese, Stefano Ceccanti e Luciano Violante. Sono stato da loro aiutato a diventare consapevole dei gravi limiti che presenta il sistema legislativo vigente, che non è più adeguato a rispondere ai problemi e alle sfide poste dalla mutata situazione nazionale ed internazionale, e consapevole anche della necessità di una riforma costituzionale, che appare non più prorogabile.
Per un ulteriore approfondimento su questi temi ho chiesto il contributo di una illustre costituzionalista, che è anche una carissima amica: Lorenza Violini, professore ordinario di diritto costituzionale alla Università degli Studi di Milano.
Lorenza è nata e cresciuta a Varese, figlia di Giuseppe, che per tanti anni è stato amministratore dell’Ospedale Filippo Del Ponte, e di Rosetta, storica professoressa di francese alla Ragioneria; Lorenza ha frequentato come me il Liceo Classico Cairoli e la linea urbana N da e per Bobbiate. Sono lieto di poter offrire a tutti i lettori di RMFonline il contributo di Lorenza Violini, che spiega le ragioni del suo sì alla riforma.

  1. NEL PIENO RISPETTO DELLE REGOLE STABILITE DALLA COSTITUZIONE PER CAMBIARLA ….
La prima questione riguarda la procedura che è stata seguita per giungere all’approvazione della legge che riforma la Costituzione ed è molto importante: la procedura seguita è stata quella prevista dall’Assemblea Costituente del 1948 e regolamentata dall’art. 138 della Costituzione vigente (2 deliberazioni delle 2 assemblee, Camera e Senato ed un referendum popolare di conferma delle scelte del parlamento se nella seconda votazione non si giunge alla maggioranza dei due terzi ma “solo” alla maggioranza assoluta). Questo a differenza di molti tentativi fatti in passato – ad esempio nel corso degli Anni Novanta – in cui si regolamentavano procedure diverse, incentrate non sul Parlamento nel suo insieme ma sul Commissioni Bicamerali insediate a questo precipuo scopo.
….. SI È GIUNTI AD UN RISULTATO CUI SI ASPIRAVA DA CIRCA 30 ANNI, da quando cioè è stata insediata la prima Commissione Bicamerale per le Riforme costituzionali presieduta dall’on. Bozzi (1983-1985), che era giunta a formulare proposte molto simili a quanto viene codificato ora nella legge di riforma costituzionale oggetto del referendum del 4 dicembre (Senato come “camera delle regioni” e Camera dei Deputati come unica referente per la fiducia al Governo – snellimento del procedimento legislativo, che deve svolgersi in tempi certi e limitazione costituzionale all’uso dei decreti legge).
  2. ENTRANDO IN MERITO ALLE NOVITA’ DISEGNATE NELLA PROPOSTA, LA PRIMA CHE VA SEGNALATA È LA RIFORMA DEL SENATO E QUINDI LA FINE DEL BICAMERALISMO PERFETTO. Finisce, in altre parole, una delle particolarità più spinte del nostro sistema costituzionale, che non ha pari in nessuna democrazia parlamentare al mondo. Del bicameralismo perfetto non erano contenti neppure i padri costituenti, come disse il 22 dicembre 1947 Meuccio Ruini: “Non abbiamo risolto tutti i problemi istituzionali, ad esempio quello della composizione delle Camere ed il loro sistema elettorale”.

Con il nuovo Senato si toglie, è vero, l’elezione diretta dei senatori ma, nel frattempo, le consultazione elettorali non mancano (parlamento europeo, referendum, elezione dei consigli regionali, elezione diretta dei sindaci ecc…) cosicché non vi è temere un minus di democrazia. In compenso si dà alle Regioni una rappresentanza in sede nazionale ed una dignità costituzionale,

con tutte le conseguenze in termini di visibilità delle Regioni stesse nei riguardi dell’opinione pubblica e del processo politico; si tratta di una sede in cui Comuni e Regioni, oltre a partecipare al procedimento legislativo, possono far sentire la loro voce affinché giunga anche ai cittadini elettori. I senatori, poi, dovranno svolgere anche altre funzioni, molto importanti per il buon funzionamento del Paese, quali il raccordo tra i diversi centri di potere locale e con l’Unione Europea, nonché la valutazione dell’impatto delle leggi e delle politiche sui territori, una funzione molto importante che in Italia non ha mai svolto nessun organismo pubblico.

  1. QUANTO ALLA FUNZIONE LEGISLATIVA, BENCHÈ MOLTI PAVENTINO COMPLICAZIONI VISTI I RUOLI DIFFERENTI TRA LE DUE CAMERE (CHE OVVIAMENTE COMPORTA CHE VI SIANO REGOLE PREPOSTE ALLA DEFINIZIONE DEI RISPETTIVI RUOLI) I VANTAGGI CHE SI PROSPETTANO NON SONO DA POCO. Dovrebbe infatti aver fine la cosiddetta “navetta”, cioè l’obbligo che emanare leggi solo dopo che entrambe le camere abbiano approvato un identico testo. Ora la legge di riforma prevede tempi rapidi per eventuali modifiche che il Senato vorrà proporre a leggi approvate dalla Camera, sulle quali la Camera si pronuncia in modo definitivo. Si dovrebbe chiudere anche l’abnorme ricorso ai decreti legge, visto che il Governo potrà chiedere alla Camera di approvare con una procedura abbreviata i disegni di legge fondamentali per l’attuazione del programma politico. Inoltre, le modifiche che il Senato propone – anche se sono solo proposte di modifica e non decisioni definitive (che restano riservate alla Camera) – servono a far si che Comuni e Regioni, che poi dovranno dare applicazione alle leggi, possano esprimersi circa la applicabilità delle leggi ai territori prima che queste vengano emanate mentre ora, se i governi locali hanno obiezioni o problemi, possono solo impugnare le leggi davanti alla Corte Costituzionale.
  2. QUANTO AL RAPPORTO TRA STATO E REGIONI, CHE DOVREBBE COMUNQUE ESSERE FACILITATO DALLA PRESENZA A ROMA, TRA LE ISTITUZIONI NAZIONALI, DEL SENATO, LA RIFORMA ENTRA A RISTRUTTURARE LA DISTRIBUZIONE DEL POTERE LEGISLATIVO TRA I DUE LIVELLI DI GOVERNO “RISCRIVENDO” L’ART. 117 CHE CONTIENE GLI ELENCHI DELLE MATERIE CHE SPETTANO ALLO STATO E QUELLE CHE SPETTANO ALLE REGIONI. Si tratta di una modifica ad un tempo significativa e indispensabile, visto che la precedente riforma dello stesso articolo, ispirata a principi parafederalisti, aveva trasferito alle regioni molte materie nella forma della competenza “concorrente”, in cui allo Stato restava pur sempre il potere di determinare i principi fondamentali delle stesse. Di conseguenza, tra le materie riservate alla potestà legislativa dello Stato e le pur molte materie “concorrenti” di competenza regionale ma in cui lo Stato poteva comunque intervenire con “leggi di principio”, in effetti alle Regioni non restava molto spazio di intervento; inoltre, data la labilità del confine tra “principi” e “dettagli”, il riparto delle competenze legislative è diventato il regno dell’incertezza e del perenne conflitto tra i due contendenti, dando luogo alla Corte Costituzionale di “riscrivere” essa stessa, con la sua giurisprudenza, tale riparto. E, pertanto, tra scrittura e riscrittura, oggi i due campi di intervento, quello dello Stato e quello delle Regioni, è sottoposto a tensioni e conflitti che non giovano all’efficienza generale del sistema. Per rimediare a questo stato di cose, la riforma prevede l’abolizione dell’elenco delle materie sottoposte a competenza concorrente e una ristrutturazione degli elenchi delle competenze esclusive dello Stato da un lato e delle Regioni dall’altro. A queste ultime vengono conferiti poteri determinati, elencati, che dovrebbero quanto meno attenuare la conflittualità.
  3. Non mi soffermo su altri aspetti più di dettaglio della riforma, che pure vanno almeno citati (potenziamento del ruolo dell’opposizione, incremento degli istituti di democrazia diretta, eliminazione del CNEL, tentativo di ridurre almeno in parte i costi della politica ecc…), per concludere dicendo che l’intervento riformatore è si di rilievo ma non tende a stravolgere l’impianto costituzionale vigente. La nostra forma di governo resta parlamentare, gli istituti di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, magistratura) restano quello che sono attualmente, mentre i cambiamenti previsti si incentrano sul potere legislativo, sia dello Stato sia delle regioni, il che giustifica anche la natura unitaria del referendum: una è la riforma uno ed univoco è il giudizio del popolo sulla stessa. Impossibile sarebbe stato avere tanti referendum quante le norme modificate, con il rischio di avere parti cambiate e parti intatte a tutto discapito della coerenza del sistema.

Per chi fosse interessato c’è la possibilità di partecipare ad un dibattito sul tema del referendum al quale interverrà Lorenza Violini, insieme a Gaetano Quagliariello e ad Antonio D’Atena. L’incontro promosso dal Centro Culturale di Milano si terrà martedì 22 novembre a Milano e verrà trasmesso via streaming al Collegio De Filippi di Varese a partire dalle ore 20.30.

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