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Politica

REFERENDUM/3 FEDELI ALLA STORIA

MANIGLIO BOTTI - 25/11/2016

inter-juventus

Inter-Juventus nel marzo 1960

Se c’è una cosa che questo referendum sulla riforma costituzionale è riuscito ad alimentare e a confermare è la decisa e oggi polemicissima divisione tra italiani. Lo si è notato, e lo si nota, facendo scorrere i commenti postati sul web, in particolare su facebook. Ma anche ascoltando alcuni dibattiti in tv o nei bar o nelle strade. E manca ancora una settimana alla consultazione. Come dire: al peggio non c’è mai fine… E chissà che cosa succederà dopo.

 Pochissimi i contenuti di merito, gli studi, le meditate letture. Molti gli slogan – su entrambi i fronti – e rimasticature più attinenti a “leggende” e a mere provocazioni che a serene disamine. Insulti e spaccature, dunque, rotture anche di vecchie amicizie solo in apparenza rinnovate ma non corroborate dalla partecipazione alla rete.

Si direbbe quasi che l’imminente referendum abbia sublimato il particolare carattere divisorio degli italiani (guelfi e ghibellini, Capuleti e Montecchi, rossi e neri, juventini e interisti eccetera); sicché in forma peggiorativa non è venuto solo alla luce l’inveterato carattere di “cattivi italiani” ma di “italiani cattivi”, che forse è cosa anche più preoccupante.

Cerchiamo di capire perché. La ragione principale è stata il risentimento nei confronti del governo in carica – sempre attuale il detto antico “piove governo ladro!” – e probabilmente anche dei componenti di governi recenti e passati e dell’intero parlamento che, in definitiva, la riforma l’ha approvata. Qualche giorno fa, nel motivare le sue ragioni del no, una signora ex esodata diceva: voto così perché mi devono ancora consegnare la mia liquidazione; soldi miei, e chi sa quando li potrò avere…

Il parlamento, dunque, ha congedato la riforma, ma a maggioranza assoluta e non con la maggioranza qualificata dei due terzi. Altrimenti la riforma sarebbe passata in carrozza, a norma dell’articolo 138, senza che nessun cittadino-elettore, nel caso ragionevolmente bene rappresentato, avrebbe potuto mettere il becco; appunto, Costituzione alla mano. Un errore, riconosciuto poi dallo stesso presidente del consiglio, è stato quello di avere personalizzato la competizione con prese di posizione un po’ ingenue e irruenti del tipo: o me o nessuno o me o il caos, io ci metto la faccia e se non vinco me ne vado, e così via. Una manna per i cultori della contrapposizione politica e del muro contro muro. V’è solo da immaginare, tuttavia, che cosa sarebbe successo se il presidente del consiglio non avesse detto nulla. Di fronte a una sconfitta (presto sapremo com’è andata), personalizzazioni o no, i primi a chiedere una rapida fuoruscita del governo in carica sarebbero (e saranno) le opposizioni.

E poi – scriveva il Corriere qualche giorno fa – c’è chi ha annunciato che voterà no anche per difendere la Costituzione. In ogni caso e a oltranza, contro qualsiasi tentativo di risistemazione. Guai a toccare i principi fondamentali – la grammatica –, che in realtà non sono stati sfiorati, ma adesso nemmeno la parte ordinamentale che, si dice, dovrebbe riguardare solo la pratica e il (buon) funzionamento della repubblica.

Un’altra prova provata della difficoltà, specie per la maggioranza di governo, di convincere cittadini e elettori è la complessa composizione dei contrari: dal centrodestra alla destra, da componenti di sinistra o dem, come si dice, dunque all’interno della maggioranza piddina, ai populisti, ai componenti di Casa Pound, Arci, Anpi e altre sigle autorevoli o variegate. Si fa fatica a capire come mai tutti costoro, in due anni e passa di dibattito in parlamento e nonostante le centinaia di emendamenti discussi, se ne siano stati tranquilli per poi esplodere all’unisono, in pratica negli ultimi mesi di “campagna elettorale”. Ed è difficile pensare che gli italiani all’improvviso si siano scoperti tutti costituzionalisti allo stesso modo in cui durante i mondiali di calcio tutti si considerano commissari tecnici della nazionale.

Le ragioni di merito hanno pesato poco, molto di più – come s’è detto – hanno fatto testo altre motivazioni: il risentimento, qualche volta l’odio, qualche altra l’indifferenza o anche il semplice motivo di dire di no. A tutto. Sempre e comunque. Anche il risultato dell’elezione del nuovo presidente degli Usa Donald Trump, un fatto lontano e diversamente interpretabile, è stato preso a esempio in Italia, trovando auspici sia tra i fautori del no (la sorpresa di una vera opposizione all’establishment) sia tra quelli del sì (la volontà di un cambiamento). Sembrano gli stessi concetti, ma non è così. L’opposizione, non sempre almeno, rappresenta il cambiamento rispetto allo stato di fatto; mentre il conservatorismo (o pseudo tale) può invece essere di norma individuato tra i propulsori della novità. Proprio un mondo che va alla rovescia.

La varia e complessa composizione degli oppositori ha dato il destro al presidente del consiglio di considerarla, non con una denominazione benevola, “accozzaglia”: da Travaglio a Berlusconi, da Brunetta a Monti, da Bersani a Grillo, da Landini a Casa Pound e ad altri esponenti della destra politica tradizionale… Tutti uniti per ora coerentemente nel no, salvo poi tornare a essere sé stessi e a cannibalizzarsi nel caso di una possibile vittoria.

Con quali benefiche conseguenze per il futuro del Paese non si sa.

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