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Attualità

L’ARTE CHE RENDE INETTI

FEDERICO SCHNEIDER - 25/11/2016

uomovitruvianoQualcuno mi ha chiesto un commento sulle elezioni americane che hanno assegnato la presidenza degli Stati Uniti a Donald Trump. Difficile aggiungere qualcosa all’incessante flusso di commenti ed opinioni che sta monopolizzando la nostra attenzione in questi giorni. A questo poi si aggiunga che io sono soltanto un italianista emigrato oltreoceano, non certo un analista politico. Ma viste le straordinarie proporzioni del granchio che proprio l’analisi politica ha preso in questa campagna elettorale, non c’è pericolo che io ne prenda uno più grosso, neanche partendo un po’ da lontano, come intendo fare con queste brevi riflessioni.

L’arte del nostro Rinascimento riflette davvero l’armonia o forse solo così pare? Si guardi, ad esempio, l’uomo vitruviano di Leonardo, conclamata espressione di armonia rinascimentale. Se però lo si considera attentamente, vi si riconosce ben altro: cioè l’agone tra la natura, da una parte, e l’arte, sua imperfetta imitazione, dall’altra parte. È una sconfitta appena percettibile, come i pochi centimetri che separano il centro del quadrato (i genitali) da quello della circonferenza in cui il quadrato è iscritto (l’ombelico). Si tratta di un dettaglio, certo, come il mattoncino mal messo alla base di una costruzione che minaccia di farla crollare.

Quella del Rinascimento è quindi un’armonia per niente compiaciuta di se stessa, anzi consapevole come non mai della propria precarietà; un’armonia dove manca solo uno a far trentuno, ma è un uno che conta (anche se forse non vale proprio trenta). L’artista lo contempla con un sorriso: come quello del caro Ariosto, cui non riesce davvero di far quadrare l’epica teleologica (sia pagana sia giudeo-cristiana) con l’esuberanza dell’uomo e della sua materia – le storie di cavalieri, armi ed amori fornitegli da un Boiardo, a sua volta capace di dare a quella materia un capo ma non una coda.

Analogamente Leonardo che, se da una parte supera Vitruvio per la precisione dei rapporti empirici che è in grado di individuare nel corpo umano, dall’altra parte deve poi rassegnarsi al fatto che, proprio da questa più esatta conoscenza della natura risulta di conseguenza non più possibile iscrivere quel corpo perfettamente misurato in un quadrato a sua volta iscritto in una circonferenza.

Dunque l’ingegnoso stratagemma geometrico leonardesco, al di là delle armoniche apparenze, rivela un’arte inadeguata rispetto ad una natura meglio conosciuta e che perciò scombussola. Da tale rivoluzionaria consapevolezza nasce il sorriso dell’artista del Rinascimento; il sorriso di un vinto, che tuttavia non è un inetto.

C’è chi si chiederà, e giustamente, cosa tutto ciò abbia a che fare con le recenti elezioni presidenziali in USA. La risposta è che, anche noi, come il fruitore medio del già ricordato disegno leonardesco, ci siamo fatti prendere da ciò che dell’arte lusinga il nostro occhio. In effetti per mesi ci siamo appassionati ad una spettacolare rappresentazione chiamata “Elezioni presidenziali 2016”, con la sua fitta trama di accadimenti, i suoi clamorosi colpi di scena, la sua suspense, ed infine il suo epilogo, lieto o triste che sia. L’abbiamo anche abbondantemente deprecata, come ogni spettatore di reality show che si rispetti, liberandoci di tutto il disgusto che man mano suscitava in noi, così impedendo che quel sentimento si trasformasse in una pericolosa e chissà forse anche destabilizzante indignazione; e dopo aver annacquato il nostro senso morale con un moralismo becero, ci siamo ricompattati dietro un davvero modesto parto della politica globalizzata, con le sue ineludibili conseguenze. Brutta roba.

Lasciamo dunque perdere l’arte dello spettacolo americano, che da insegnarci ha davvero soltanto come l’arte rende inetti. Chiediamoci piuttosto in che modo tornare a scuola dal nostro Rinascimento (invece che soltanto vantarcene con uno sceneggiato RAI), a ripassare tutt’altra lezione.

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