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Società

C’ERA UNA VOLTA L’EDUCAZIONE

FELICE MAGNANI - 25/11/2016

giovaneanzianoÈ normale che l’uomo si ponga dei perché o che in certi momenti della sua vita cerchi di rimettere in ordine qualcosa che magari si è un po’ consumato e che richiede manutenzione, perché non sempre il tempo e le esperienze sono alleati sicuri, in alcuni casi possono anche confondere. Ogni giorno è una rinascita, due occhi che si aprono sul mondo cercando risposte, guardandosi attorno curiosi di vivere, anche solo per un attimo, il dono della bellezza, dell’entusiasmo, della gioia, del ringraziamento, della ragione e della fede.

Ogni giorno è un giorno diverso, un mondo che cambia, ogni giorno siamo noi che non siamo gli stessi di quello precedente e che cerchiamo con tutta l’intensità di cui ne siamo capaci la possibilità di amare, sognare, correre, osservare, contemplare, parlare, scrivere, aiutare. Ogni giorno il nostro cuore e la nostra mente ci offrono un panorama rinnovato, una prospettiva, una condizione fisica o mentale, uno stato d’animo e così cerchiamo di definire il tempo che ci attende, svuotandolo il più possibile degli spazi vuoti, inerti, quelli che ci inducono a diventare sospettosi, inconcludenti, incapaci di intraprendere una qualsiasi forma organizzata del giorno che ci sta di fronte.

Ognuno affronta la vita sulla base di un carattere, di una predisposizione naturale, di qualcosa che ha costruito grazie al contributo della famiglia, della scuola o di chi ha accompagnato una parte importante del suo cammino educativo. Vivere è rivitalizzare il patrimonio in cui ci hanno e ci siamo formati, in cui spiccano diverse figure importanti che hanno contribuito e contribuiscono a farci crescere, a farci conoscere sempre un pochino di più a noi stessi e agli altri.

A volte queste figure hanno un’ investitura istituzionale, fanno parte di una struttura legalmente riconosciuta, ma possono anche arrivare nei momenti più impensati, spontaneamente, quando meno ce lo aspettiamo, come frutto di un incontro. Quante persone abbiamo incontrato nella nostra vita, quante parole abbiamo speso, quanti giudizi abbiamo proferito, quante simpatie e antipatie, ma quante hanno influito davvero positivamente sulla nostra evoluzione? Quante ci hanno teso la mano per rendere più vero e costruttivo il nostro cammino? Di quante conserviamo un buon ricordo? Quante hanno realmente tenuto fede alle promesse fatte?

Non è facile giudicare e forse non è neppure bello, non è bello dover affermare che magari le delusioni vengono di solito proprio da quelle persone sulle quali credevi di poter contare, quelle che pensavi fossero più vicine al tuo modo di pensare, di agire, di essere, quelle con le quali pensavi di aver costruito un’idea, un pensiero o un’amicizia forte, condivisa e sicura. Le delusioni fanno parte della nostra vita quotidiana, vanno di pari passo con una natura molto spesso contraddittoria, ambigua, incerta, incapace di mantenere una condotta lineare, soggetta in molti casi alla disomogeneità di un carattere, alle interferenze di fatti esterni, a varie forme di debolezza e di fragilità che accompagnano la nostra vita.

È dentro queste incongruenze che cerchiamo di far riaffiorare la parte buona, quella che non si lascia sopraffare, che abbiamo tesorizzato e a cui facciamo riferimento ogniqualvolta l’uomo che abbiamo di fronte tradisce le nostre aspettative, privandoci così di quella leggerezza e di quel respiro che ci permettono di abbracciare il mondo e sentirlo un po’ nostro. È in una ricerca costante che muoviamo i nostri passi, guardandoci attorno a volte in modo aperto e sicuro e a volte con circospezione, un po’ spaesati e incerti, insicuri, a tratti preda delle nostre paure, delle nostre inibizioni, di una visione che in alcuni casi rischia di consolidarsi, diventando luogo di stagnazione da cui diventa poi difficile evadere.

L’essere umano ha un bisogno estremo di studiare, di cercare, di inventare, di creare, di sentirsi amato e apprezzato, di rendere attiva e partecipativa la propria vita e quella delle persone che lo circondano, soprattutto quando non si sente capito, appoggiato, rincuorato, stimolato e qui entriamo nel gioco di una natura che spesso non è quella che ci faceva sperare in un futuro pieno di novità. Entriamo così in una condizione leopardiana che sovverte, ribalta, sconvolge, distrugge, senza magari lasciare il tempo di una revisione autentica, di una diagnosi accurata, adeguata alle aspettative. Rinascere è una cosa bellissima, soprattutto quando il miracolo si compie dopo momenti privi di spinta ideale, di slanci, di impegno sociale, dopo lunghi periodi di sonnolenza e di individualismo.

Quando si rinasce ci si sente di nuovo in corsa, dentro quel grande circo che è la vita e si torna a ballare, a cantare, ad ascoltare, a scrivere, a sognare, proprio come fanno i bambini quando si lasciano incantare dallo stupore e dalla meraviglia del mondo che si trovano di fronte ogni volta che escono dai confini di un’educazione in alcuni casi troppo stigmatizzata, definita. Si sa che la predisposizione giovanile gioca un ruolo importante nell’incontro con la realtà, ha infatti in sé il dono della curiosità naturale, la capacità di cogliere e di comprendere la forza e i significati reconditi dei messaggi, soprattutto quando entrano con prepotenza nell’ equilibrio esistenziale con domande e offerte, slanci e impennate, frenate e ingorghi dai quali non è sempre facile uscire indenni senza un approfondito esame di coscienza.

All’adulto viene spesso a mancare quel respiro leggero che facilita la relazione. Un tempo forse era formalmente e sostanzialmente più facile abbracciare la virtù nelle sue forme elevate, legate a un atto, a un pensiero, a un rapporto, a un’amicizia, a un insegnamento o a una persona che ti faceva capire che la vita non era soltanto un tempo, un confine di stato, un limite, bensì qualcosa che andava oltre, che s’incuneava in quell’infinito indefinito che ci coglieva ogni giorno di sorpresa quando guardavamo un cielo stellato o la luce di un sole particolarmente luminoso.

Una volta eternità e sacralità erano simboli marcatamente accesi, se ne parlava spesso, anche in letteratura, erano temi cari ai poeti, ai romanzieri, ai filosofi, ai religiosi, assi portanti di una struttura morale, politica, sociale, religiosa dilazionata nello spazio e nel tempo, capace di gettare fasci di luce anche sui misteri più misteriosi e intolleranti. Oggi forse qualcosa è cambiato nel metodo, nella strategia della comunicazione, diventata un pochino più estensiva e meno costrittiva, più misericordiosa e meno punitiva, meno teorica e più pratica. Anche la chiesa stessa è passata da un’impronta di natura ereditaria e autoritaria a una in cui diventa preponderante l’immagine di un Dio fatto uomo con il volto di coloro che incontriamo quotidianamente in cerca d’identità sul nostro cammino.

C’è stato un tempo in cui l’educazione non lasciava nulla o quasi di inevaso, di abbandonato, di trascurato, tutto partiva da un inizio e puntava decisamente a un fine che era impossibile da determinare, ma che seminava uno stato di attenzione, di senso di responsabilità e di benessere in cui confluivano la speranza e la naturalezza della gente comune, quella che ama la tranquillità, che è contro la violenza da qualsiasi parte arrivi.

Tra la terra e il cielo esisteva un legame molto stretto, frutto di una visione meno materialista, meno ancorata all’idea di successo personale, più collegata a uno stile di vita che trovava nella semplicità modelli e stili umanamente applicabili e possibili. In molti casi bastava sapere che qualcuno seguisse da vicino le nostre vicende, per rendere più affascinante e completa la nostra storia. La nostra fede era frutto di una catechesi a tratti anche un po’ dogmatica, ma molto capace di dare un volto alle nostre aspirazioni, alle nostre curiosità, alla nostra voglia di diventare grandi, ma con una attenzione accesa sul mondo. La consequenziarietà era di casa, lo era anche nelle piccole cose, quelle che all’apparenza potevano sembrare banali o un po’ scontate. Il mondo che avevamo davanti era tutto da scoprire, da vivere, da sperimentare, da collaudare.

L’educazione era il collante di una rinascita fisica, morale, materiale, umana, religiosa. Ci sentivamo amati, protetti, stimolati, seguiti, non c’erano generazioni a confronto, ma generazioni che stavano insieme nel gioco, nello sport, nella società, uomini e donne che univano le loro idealità e i loro sforzi per rendere più vero il senso di una condivisione. Oggi siamo tutti un po’ confusi, disorientati, vittime di situazioni abnormi che ci sovrastano, che ci colgono di sorpresa, che ci mettono in crisi, senza che qualcuno spieghi esattamente il significato o il senso di quello che realmente sta succedendo. Siamo sostanzialmente preda quotidiana di proclami, di voli pindarici, di espressioni gettate nella mischia per confondere le idee, è sempre più difficile credere, prestare attenzione, trovare soluzioni anche parziali ai nostri perché. Tutto si è complicato, persino il linguaggio delle persone, diventato straniero, anarchico, irascibile, irriverente.

Rinascere è però sempre possibile, ma bisogna che chi ha il compito di educare e di formare dimostri sul campo che non si può giocare con la vita degli altri e che bisogna essere capaci di dare risposte convincenti a quei cittadini che lavorano dalla mattina alla sera per consegnare al mondo l’immagine di un paese generoso, ma non stupido, solidale, ma non ipocrita, democratico, ma non anarchico, sufficientemente maturo per esprimere con molta chiarezza il proprio punto di vista sui principali problemi che lo assillano, senza essere frainteso o vilipeso, ma con quella dedizione che gli ha permesso di uscire dalle guerre mondiali a testa alta, dimostrando al mondo la genialità, l’impegno e la creatività di un popolo decisamente attento ad essere sempre e comunque protagonista della propria storia.

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