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Cultura

LE MIE 150 ORE

FELICE MAGNANI - 09/12/2016

150oreÈ il 26 maggio 1978, si conclude la mia esperienza annuale come docente di storia e educazione civica alle 150 ore. Un’esperienza unica. Un anno con ottanta alunni, vissuto nelle ore buie, quelle della sera che vanno verso la notte, quando il mondo si ferma per respirare, per vivere l’intimità familiare nel suo porto di quiete e tu devi invece richiamare uomini e donne sull’importanza di un diploma, passando attraverso un insegnamento che sia il più possibile attento alla vita che scorre, alle problematiche che da sempre assillano la persona e il suo rapporto con il mondo.

Mi trovo davanti un fronte variegato, composito, ma unito, teso verso la speranza di cogliere al volo un’opportunità per ricominciare, per vivere la concretezza di un sogno, per dire finalmente ce l’ho fatta: la scuola non mi ha voltato le spalle.

Gli ottanta alunni del corso B non sono solo ragazzini andati fuori rotta, ma uomini e donne che lavorano e che si impegnano nelle ore notturne per un diploma che vale un lavoro sicuro. Ci sono operai, negozianti, commercianti, artigiani, carabinieri, finanzieri, poliziotti, baristi, sindacalisti. Insegnare storia e educazione civica a gente che ha già ampiamente scartavetrato spazi e angoli della vita quotidiana non è semplice, il rischio è quello di essere o troppo teorici e quindi di generare noia e pesantezza o troppo fedeli e inquadrati, con la possibilità di aprire spazi di natura repressiva.

La storia, per sua natura, si presta a interpretazioni, giudizi, punti di vista e la Costituzione italiana e lo Statuto dei lavoratori sono documenti sacri usciti da una vita di relazione difficile, a tratti drammatica, ma proprio per questo amati e onorati. C’è però qualcosa che va oltre le diversità, gli stili, le culture, le ideologie, c’è il buon senso comune, quel patrimonio davvero grande che fa capire quanto siamo uguali nella lotta che conduciamo ogni giorno per affermare i nostri diritti e per esercitare i nostri doveri, per dimostrare quanto siamo uguali di fronte alla legge, quanto siamo fieri di essere quelli che siamo, uomini e donne che vogliono essere sempre un pochino migliori.

Si tratta forse di un’ uguaglianza riconducibile all’innato desiderio di migliorare una condizione, lasciando aperto lo spazio del confronto, della ricerca, dello studio e della capacità di progettare un mondo che si guarda in faccia e sorride perché è felice di unire le proprie forze, di marciare unito verso l’onestà.

L’esperienza alle 150 ore è stata determinante per la mia vita in un momento difficile di quella sociale e nazionale, quando le strade e le piazze erano terreno di scontro, di uccisioni, gambizzazioni, di bande armate che creavano terrore, di rapimenti e stragi, di contrapposizioni e antagonismi, di uomini e donne che inseguivano il mito di un potere utopico e iniquo.

Ho capito che ciò che più contava era pensare e agire con umanità e onestà, ricordando che la prua doveva navigare verso ciò che univa e che per sua natura non era né bianco, né rosso, né verde, ma solo orizzonte di speranza per chi desiderava una vita migliore. Ho capito che insegnare non era sovrapporsi, dominare per imporre, bensì ricercare un cammino comune, fatto di buon senso e umanità.

Alle 150 ore ho capito molte cose, ma soprattutto una e cioè che vivere è sentirsi parte di un tutto che invita a donare senza la presunzione di essere padrone del campo. A ottanta alunni ho parlato di Costituzione, di diritti e di doveri, di lavoro, di democrazia, lasciando il tempo e lo spazio ad appunti e discussioni. La stella a cinque punte è spuntata, ma se n’è andata via in fretta. Forse è stata soltanto una bravata passeggera. Il confronto è stata serrato, senza mai scadere nella demagogia o nel gioco delle parti.

Ho imparato ad apprezzare ancora di più il mondo del lavoro, la sua straordinaria capacità di cambiare in meglio le persone, di capirne i problemi, di trovare in noi stessi una ragione di più per sentirci vicini a quel prossimo che ci chiede di collaborare. Ho capito che scuola e lavoro sono due mondi attigui e complementari e che insieme determinano il futuro della nostra vita e del nostro paese. Scuola e lavoro sono due pilastri dello stato democratico, hanno bisogno di essere conservati e rafforzati.

Troppo spesso ci imbattiamo nel qualunquismo e nella superficialità, nel libero arbitrio e nella litigiosità, un litigio che non prelude al rafforzamento, ma alla demolizione dell’avversario e delle sue idee. Forse siamo un paese in crisi perché abbiamo perso per strada la nostra identità, non ci ricordiamo più chi siamo, chi sono le persone che con fatica ci hanno aiutato a prendere coscienza del mondo, ci siamo dimenticati che la vita è fatta di regole precise, di vincoli da rispettare, di gioie e dolori, di errori e di conquiste, ci siamo dimenticati di fare ogni tanto l’esame di coscienza per rimetterci al passo con i nostri limiti e con le nostre virtù.

Le mie 150 ore sono tutte racchiuse in una busta che conservo con grande cura e che riprendo tra le mani ogni tanto per ricordarmi che la stagione dei doveri non finisce mai, neppure quando il tempo passa e il rischio è di uscire dalla storia senza aver fatto fino in fondo il proprio dovere.

Per questo ogni tanto riapro quella busta e leggo: “Aggiunga alla sua storia, questa nostra disavventura con sperabile buon esito. Noi faremo del Suo insegnamento tesoro per un miglior comportamento sociale. Saluti corso B.”. È poco, quanto basta per non dimenticare che ottanta alunni hanno condiviso un cammino di speranza insieme al loro insegnante, cercando nella scuola una ragione per credere in un futuro migliore.

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