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Società

VORREI CHE

GIOIA GENTILE - 16/12/2016

letteraQuest’anno ho deciso di avanzare, sommessamente, alcune richieste a Babbo Natale. Non regali né vincite milionarie alla lotteria di Capodanno, solo qualche modifica alle nostre abitudini quotidiane, che ci consenta di essere più sereni e di vivere meglio. Ho escluso a priori pretese come la fine delle guerre, la scomparsa della povertà, l’eliminazione degli abusi sui bambini e di tutte le atrocità di cui sono capaci gli esseri umani. Cavoli, mi sono detta, se ne sarà reso conto anche lui. Se non ha ancora provveduto vuol dire che non rientrano nelle sue competenze. Proviamo con qualcosa di meno impegnativo, chissà che non sia la volta buona. Così mi sono concentrata, ho stabilito una connessione mentale con il simpatico vecchietto e ho cominciato a snocciolare i miei desiderata.

Vorrei che i politici la smettessero di considerarci minus habentes e non continuassero a parlarci per slogan, ma ci spiegassero le ragioni che li guidano nelle scelte, il merito dei provvedimenti che adottano, i pro e i contro delle leggi che intendono approvare. Almeno di quelle più importanti. E ammesso che le capiscano. Soprattutto vorrei che noi cittadini non ci mettessimo nelle condizioni di essere trattati così.

Vorrei che le persone parlassero un po’ meno ed imparassero ad ascoltare. Non tutte, per carità, non pretendo una rivoluzione così epocale. Mi basterebbe che cominciassero coloro che partecipano ai talk show: mi piacerebbe tanto che parlassero uno alla volta, alzando rispettosamente la mano e aspettando il permesso del conduttore; sarebbe meraviglioso, poi – ma non oso neppure sperarlo – che esprimessero le loro opinioni in modo chiaro, coerente, garbato e soprattutto con un tono di voce inferiore ai 60 decibel, che pare sia il limite massimo di intensità sopportabile dall’orecchio umano.

Vorrei che lo stadio tornasse ad essere la sede di un gioco, dove anche i bambini potessero divertirsi senza il timore di trovarsi in una guerriglia.

Vorrei che nessuno imbrattasse i muri degli edifici e i monumenti, che tutti apprezzassero la bellezza e si adoperassero per crearla e preservarla.

Vorrei che, quando intervengono sui social media, gli individui si rendessero conto di essere il frutto di un lungo processo evolutivo naturale e culturale e non credessero di vivere ancora nelle caverne. E quindi la smettessero di utilizzare solo parolacce e insulti intervallati da onomatopee e punti esclamativi, ma si ricordassero, almeno, della cara maestra elementare, che insegnava loro a costruire pensierini semplici, e corretti sotto tutti i punti di vista.

Vorrei che le persone, per la strada, non procedessero inesorabilmente in linea retta, travolgendo tutto ciò che incontrano, vecchietti compresi, perché concentrate solo sulla loro meta, su se stesse, sul proprio smartphone.

E, a proposito, sarebbe così bello se al bar, al ristorante, in spiaggia, in piazza gli amici parlassero tra loro. Parlassero, intendo, a voce. E magari li abbracciassero, qualche volta, gli amici. E non fossero più solo monadi chine sul telefono cellulare.

Insomma, quello che vorrei è un mondo in cui la vita di tutti i giorni fosse improntata al rispetto, per se stessi e per gli altri.

Ma non ho ancora finito di comunicare per via telepatica le mie semplici richieste, che da gelide lontananze mi giunge, inequivocabile, un suono: “Ohohohohoh, non avevo mai riso tanto!”

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