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Apologie Paradossali

ALLEANZA EDUCATIVA

COSTANTE PORTATADINO - 23/12/2016

Giotto, Strage degli Innocenti, Padova Cappella degli Scrovegni

Giotto, Strage degli Innocenti, Padova Cappella degli Scrovegni

Natale sarà appena trascorso che sul calendario comparirà la festa dei Santi Innocenti, il 28 dicembre.

Una festa ‘strana’. Suscita un interrogativo teologico: perché la sofferenza dei bambini? Se vogliamo, anche uno esegetico: che attendibilità e che significato ha questo episodio, riportato solo dal Vangelo di Matteo? Non trascuriamo nemmeno l’antica controversia sull’anno della nascita di Gesù, essendo Erode certamente morto nell’anno 4 a.c. Potrebbe essere un episodio ‘romanzato’? Invece Matteo può avere una buona attendibilità, pensando che scrive per gli Ebrei e che una delle sue principali preoccupazioni è confermare la storicità del suo scritto con riferimenti storici e geografici verificabili dai contemporanei, suffragandoli inoltre con citazioni di profezie avveratesi nella vita di Gesù. Non abbiamo ragione di liquidarne il senso come piccolo avvenimento senza credenziali storiche, un’inutile crudeltà di un re cattivo, che, peraltro, aveva ammazzato i suoi stessi figli o come un’improbabile drammatizzazione di fantasia. Matteo ci vuole dire qualcosa.

Lungo tutto il medioevo, la festa ha avuto un riscontro teologico, liturgico e popolare molto maggiore di ora. Due brevi citazioni:

I santi innocenti ottennero la vita eterna dopo una breve morte. Cristo ha donato la vita a una moltitudine, dopo aver conosciuto la morte durante tre giorni. Morendo per tutti, egli ha loro concesso la vita definitiva, permettendo a quei numerosi fanciulli di rallegrarsi in cielo e di gioire nella gloria dell’Agnello. Fra di loro l’Agnello esulta, lui che fu sospeso alla croce per la salvezza del mondo.

O infanzia beata la vostra, santi innocenti! Avete sparso il sangue per Cristo prima di poter commettere la colpa. Dolce martirio il vostro! L’avete subito per Cristo. O santa infanzia! Avete ottenuto la gloria senza penare a lungo sulla terra. Come esprimere la vostra beatitudine? Avete ricevuto la morte al posto di Cristo. (attrib. a Sant’Agostino).

Il Figlio di Dio è nato per noi, non contro di noi. Non possiamo lasciare che ci sfiori il dubbio in ordine al suo disegno di felicità per noi tutti, quindi anche per quelle creaturine. Come Cristo avrebbe potuto tollerare che quei bambini, suoi coetanei, fossero trucidati quando a impedirlo bastava un solo moto della sua volontà, se quella morte non fosse stata per essi la sorgente di un maggior bene?

(San Bernardo).

Altrettanto si deve dire per l’arte: la strage degli innocenti fu una frequente fonte d’ispirazione per grandissimi autori, da Giotto al Ghirlandaio, da Brughel il Vecchio a Rubens e a Guido Reni, con un pathos sempre più accentuato. Non troppo distante dai capolavori di tali maestri,il quadro nella navata destra della nostra Basilica di s. Vittore in Varese, variamente attribuito nel tempo a Francesco Cairo o a Ercole Procaccini il Giovane, presenta una scena di una violenza senza attenuazioni, un esempio di contrapposizione radicale tra bene e male. Non ci deve stupire se lentamente il senso di quel martirio, che il medioevo collocava nella storia della salvezza come un passo provvidenziale, quasi un’anticipazione del sacrificio redentivo, sia poi stato sentito come una minaccia, un’intrusione del male nella vita quotidiana, tanto da far nascere una credenza popolare superstiziosa: per molti secoli si guardò nel calendario dell’anno in quale giorno cadesse la festa dei Santi Innocenti, per attribuire a quel giorno (per esempio il martedì, tutti i martedì di quell’anno) un carattere infausto.

Tutti questi richiami mi introducono ad una riflessione: la dimenticanza del nesso di questa ‘strana’ festa coll’Incarnazione del Verbo nasconde anche il nesso dell’Incarnazione con la Croce e con la Pasqua. La carnalità e la spiritualità dalla fine del medioevo in poi sembrano divergere: ogni carne è destinata al peccato e alla corruzione, lo spirito può salvarsi sono se riesce a starne lontano. Così si afferma una falsa idea d’innocenza, come un assenza di coscienza, come l’irresponsabilità di chi non è libero, l’irresponsabilità di chi non è capace delle sue azioni, un vuoto.

Invece l’innocenza è un inizio, la grazia di un inizio. Una potenzialità inespressa, ma incontaminata.

 Mi si potrebbe obiettare che solo Gesù e Maria sono stati indenni dal peccato originale e che quindi tutti siamo destinati al peccato e alla morte, che è inutile sperare in una umanità buona, che occorre sottoporsi alla forza della legge e alla guida di un Capo. Non c’è un’altra prospettiva?

Vado subito ad un’altra citazione, molto paradossale. Cento anni fa Peguy, proprio nel dramma “Il mistero dei Santi Innocenti”, scriveva:

«Si mandano i figli a scuola, dice Dio. Io penso che sia perché dimentichino il poco che sanno. Si farebbe meglio a mandare a scuola i genitori. Son loro che ne hanno bisogno. Ma naturalmente ci vorrebbe una scuola di Me. E non una scuola di uomini. Si crede che i bambini non sappiano nulla. E che i genitori e le persone grandi sappiano qualcosa. Ora io ve lo dico, è il contrario. (È sempre il contrario). Sono i genitori, sono le persone grandi che non sanno nulla. E sono i bambini che sanno. Tutto. Perché essi hanno l’innocenza prima. Che è tutto.
Anche la vita è una scuola, dicono. Vi si impara tutti i giorni. La conosco, questa vita che comincia col battesimo e finisce con l’estrema unzione. È un’usura perpetua, un costante, un crescente avvizzimento. Si scende sempre. Si riempiono d’esperienza, dicono; guadagnano esperienza; imparano a vivere; di giorno in giorno accumulano esperienza. Singolare tesoro, dice Dio. Tesoro di vuoto e di carestia. Tesoro di rughe e di inquietudini. Quello che voi chiamate esperienza, la vostra esperienza, io la chiamo dispersione, la diminuzione, la decrescenza, la perdita della speranza. Ora è l’innocenza che è piena ed è l’esperienza che è vuota. È l’innocenza che vince ed è l’esperienza che perde. È l’innocenza che è giovane ed è l’esperienza che è vecchia. È l’innocenza che sa ed è l’esperienza che non sa. È il bambino che è pieno ed è l’uomo che è vuoto». 

Non condivido del tutto il pessimismo di Peguy, che pure riconosco come mio maestro di paradossi, a proposito degli adulti.. C’è ancora oggi molto senso di paternità e di maternità, c’è attenzione nelle famiglie ai bisogni dei bambini, pochi, magari solo uno, per carità, altrimenti non potremmo dargli tutto quello di cui ha bisogno. C’è pure un sentimento molto diffuso di compassione per la condizione di sofferenza di moltissimi bambini, in tutto il mondo.

Ma non basta, l’innocenza che deve essere preservata, l’andare a ‘scuola di Dio’ (di Dio e non da Dio), per non perderla, è tutt’altra cosa e sfida sempre di nuovo genitori e maestri a cambiare loro stessi per primi, a sentirsi messi in discussione da un criterio ultimo, mai pienamente conquistato, mai realizzato come un proprio progetto, mai diventato legge o regolamento.

Verso i bambini c’è molto desiderio di bene, nelle famiglie e nelle scuole, ma quello che occorre, come dono grande del Natale, molto più di giochi, di dolciumi e di carinerie, è una alleanza educativa tra famiglia e strutture di accoglienza educativa, una comune responsabilità che veda molto coinvolti i genitori, non solo per reclamare più cose, più servizi, più strumenti, più telecamere nascoste, come se l’educatore fosse il ‘Grande Fratello’, per pretendere competenze e abilità per i loro figli, da spendere nel radioso futuro della società del successo e del consumo, ma – finalmente – per aiutarsi a crescere insieme nella coscienza del significato della vita.

 Questo non è possibile senza sollevare lo sguardo ad un livello più alto, senza riprendere il nesso evangelico tra il dolore delle madri di tutto il mondo: “«Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2, 18), e il grido di gioia del Natale: “Gloria nei cieli e pace in terra”.

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