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Storia

LEGGENDARIO FERDY

CESARE CHIERICATI - 13/01/2017

kublerQuel pomeriggio di domenica 2 settembre 1951 appena sceso di sella dopo il suo sprint mondiale all’Ippodromo delle Bettole di Varese, sorridendo, ripeteva ai cronisti che lo circondavano: “Io in volata essere andato molto forte, molto contento per Ferdy”. Nel suo pittoresco italiano sintetizzava, semplificandola, la sua straordinaria volata. L’ essenza ultima di uno sprint, ieri come oggi, è racchiusa nella scelta di tempo che il velocista di razza sa operare obbedendo a un istinto felino che gli permette di cogliere, nei momenti di grazia, il treno per la vittoria. Il segreto di quel successo iridato è tutto racchiuso nella frazione di secondo con cui seppe anticipare lo scatto di Fiorenzo Magni che aveva peraltro speso molte forze nel recuperare ai fuggitivi 5’ e 45”in soli 45 chilometri. Fu un lampo di energia esplosiva che lasciò il toscano a due biciclette di distanza. Sulla linea d’arrivo un sorriso illuminò il suo profilo da rapace d’alta quota mentre con la mano destra allentava il punta piedi. Quel giorno il campione zurighese, 32 anni appena compiuti, mise il sigillo su due annate d’oro per il ciclismo svizzero. Nel ’50 Ugo Koblet si era aggiudicato il Giro e Kübler il Tour, l’anno dopo a Koblet il Tour e a Ferdy il titolo mondiale dopo il terzo posto a Milano nel Giro dominato da Magni. In vista di Varese per sei settimane si sottopose ad allenamenti durissimi – raccontano i suoi biografi nel volume Ferdy Kübler, le fou pedalant, Peter Schnyder editore, Zurigo 2007 – affrontando un giorno si e un giorno no la strada che dalla sua residenza di Adliswil, nei dintorni di Zurigo, via Altdorf e il passo del Klausen, lo portava fino a Glaris.

Finalmente il 31 agosto, con la moglie, raggiunse Lugano da dove, in bicicletta, si trasferì a Varese nella casa di via Dalmazia del suo luogotenente e amico Emilio Croci Torti, molto vicina all’Ippodromo delle Bettole. Li venne raggiunto dal massaggiatore milanese Italo Villa e dal suo medico di fiducia Max Mettler. Fu un soggiorno all’insegna della tranquillità e di una dieta leggera a base di minestrone di verdura e filetto di manzo con riso bianco. Cercarono i dirigenti elvetici di convincerlo a raggiungere il resto della squadra all’Albergo Ticino, che sorgeva dove c’è il Coin, ma senza risultato. Fu una fortuna per lui perché la squadra rossocrociata fino alla vigilia fu divisa da rivalità e contrasti. Domenica 2 settembre per Ferdy la sveglia suonò alle 5 e 30. Alle nove in punto i 46 atleti selezionati in rappresentanza di dieci nazioni si trovarono sulla linea di partenza che venne data alle 10 e 02 da Achille Joinard, presidente dell’UCI. L’aquila di Adliswil, otto ore mezza più tardi, metterà i suoi artigli sul trofeo così tenacemente inseguito.

Del resto la tenacia fu uno dei tratti caratteristici della personalità di Kübler, fin da bambino decise infatti che sarebbe stato corridore e non perdeva occasione di misurarsi coi ragazzi di Marthalen, il villaggio zurighese dove nacque il 24 luglio 1919. Vinceva sempre lui e vincere divenne un’abitudine anche nelle categorie inferiori prima del passaggio a 21 anni al professionismo, nel 1940. Grazie alla neutralità della Svizzera nel secondo conflitto mondiale, la sua attività agonistica conobbe poche pause. Da professionista la prima vittoria arrivò nella “Attraverso Losanna” poi rivinta altre quattro volte. “Gara a cronometro, adatta a lui come quelle in linea, sul passo e anche in salita – ha scritto Gianpaolo Ormezzano – e come anche quelle per velocisti, destinate a concludersi con uno sprint finale: perché molto semplicemente, Ferdy Kübler sapeva fare tutto bene, persino in pista”.

Questa sua eccezionale versatilità agonistica – se la cavava bene anche nel ciclocross – garantita da un fisico asciutto, nervoso, potente, supportata da una notevole intelligenza in corsa, gli fece salire rapidamente le scale dell’Olimpo ciclistico mondiale dove dovette misurarsi con un numero incredibile di fuoriclasse: Bartali, Coppi, Magni, Van Steenbergen, Ockers, Shotte, Bobet. E naturalmente il grande rivale di casa, Ugo Koblet, pure lui zurighese, bello come un arcangelo – soprannominato pedaleur de charme – dotato di limpidissima classe che catturò al ciclismo legioni di donne giovani e meno giovani. E naturalmente, anche lui come Ferdy, plurivittorioso nelle più grandi competizioni internazionali.

Insomma i due K, come allora venivano chiamati, dominarono con gli italiani gli anni a cavallo della metà del novecento, un’epoca in cui in Europa il ciclismo superava in popolarità il calcio. Complice la radio e la prosa spruzzata di retorica dei giornali, accendeva l’immaginazione popolare. I calciatori si battevano dentro un rettangolo verde secondo regole codificate, i ciclisti erano invece cavalieri su due ruote che sfidavano le cime, le intemperie, le insidie infinite della strada. Kübler fu senza dubbio fra i migliori interpreti di questo copione cavalleresco. Sul piatto della bilancia metteva anche la sua enorme comunicativa che lo ha reso un personaggio unico dentro e fuori il ciclismo.

Alla vigilia dei secondi mondiali varesini(2008), nella sua casa adagiata nel verde delle morbide colline zurighesi, parlava ai microfoni della Tsi di Bartali, di Coppi, di Koblet con appassionata lucidità. “Bartali è stato il mio modello. Per me fu il più grande esempio da seguire. Essendo di cinque anni più anziano di me era un punto di riferimento assoluto”. Seguiva il buon Ferdy il film della sua vita di campione per poi fermare le immagini su due rivali grandi e sfortunati: Fausto Coppi e il connazionale Ugo Koblet. “Coppi non era estroverso come Gino – diceva – si teneva sempre un po’ in disparte. Era estremamente difficile capire cosa stesse tramando. Quando era in giornata era imbattibile. Coppi era un genio, un talento assoluto, in corsa era molto intelligente. Poteva essere in giornata no e l’indomani in splendida forma. Magari ti lasciava vincere per poi attaccarti e staccarti il giorno dopo quando tu eri un po’ calato. Mi è capitato spesso con lui. Quanto a Hugo Koblet, affermare che Kübler è un lottatore e Koblet no, è falso. Ha sofferto come me, si è ferito gravemente durante le corse. Era grandioso, bello, popolare. Aveva grandissime qualità”.

La carriera di Ferdy Kübler, scomparso a 97 anni il 29 dicembre 2016, conobbe il suo epilogo nel 1957 dopo aver messo in bacheca la bellezza di 121 successi. Nel ’91, quarant’anni dopo il suo trionfo varesino, Sandro Stocchetti, indimenticabile cassiere del mondiale e poi animatore e presidente del Velo Club Varese, gli donò 5 tavelloni di cemento che facevano parte della pavimentazione del rettilineo d’arrivo posta a protezione del prato dell’ippodromo. Gradì moltissimo l’insolito dono che sistemò nel suo giardino e che gli rammentava quel magico 2 settembre del ’51, quei mondiali leggendari e irripetibili.

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