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Il Mohicano

ALLORA E OGGI, L’ABISSO

ROCCO CORDI' - 13/01/2017

berlinguerSarà l’età o sarà chissà che, ma ogni volta che partecipo ad una discussione politica – in cui sempre più prevalgono i toni da tifoserie sfegatate – la memoria mi riporta indietro nel tempo. Molto indietro. Agli anni della tanto vituperata “Prima repubblica”. Di quell’epoca si può dire tutto il male possibile, ma ai suoi detrattori odierni non farebbe male una qualche rivisitazione. Certamente non per trovare ricette o soluzioni ai problemi di oggi, ma almeno per farsi un’idea dell’abisso culturale e politico tra il dibattito di allora e quello odierno.

Qualche giorno fa, rimettendo un po’ d’ordine tra le mie carte, ho ritrovato un libriccino di circa 60 pagine dedicato a due interventi di Enrico Berlinguer svolti nel gennaio 1977. Quaranta anni fa! L’allora segretario del PCI, interrogandosi sulla crisi di quegli anni, avanzava l’idea della “austerità come occasione per trasformare l’Italia”. I detrattori la ribattezzarono subito come “politica dei sacrifici”. A destra e, soprattutto, a manca, la banalizzazione della proposta era finalizzata a logorare la credibilità e i consensi di Berlinguer e del suo partito che, è bene ricordarlo, pochi mesi prima (giugno 1976) aveva conseguito un grande successo elettorale ottenendo oltre 12,5 milioni di voti (34,4%).

Dopo la “grande avanzata” il PCI avvertiva il bisogno di ridefinire il proprio profilo politico e programmatico sia a livello nazionale che locale. Rileggendo quei due interventi, il primo svolto al convegno nazionale degli intellettuali comunisti e non (Roma, 15 gennaio), l’altro alla assemblea nazionale degli operai comunisti (Milano, 30 gennaio), è possibile cogliere subito il divario enorme con la politica odierna. Non solo nel linguaggio o nelle modalità espressive, che sono proprie di quella fase (comunque irripetibili nel contesto attuale), ma nella pratica partecipativa e nel rigore analitico e propositivo messo in campo di fronte ad una crisi la cui portata non era ancora percepita fino in fondo neppure dagli stessi protagonisti dell’epoca. Si era alla fine del lungo ciclo espansivo cominciato nel dopoguerra e nell’Italia del post “boom” economico cominciavano a manifestarsi limiti e contraddizioni anche esplosive.

Berlinguer avvertiva la necessità di ridefinire una nuova idea dello “sviluppo” per colmare il divario crescente tra nord e sud del mondo, che in forme diverse si ripresentava anche sulla scena nazionale ed europea, ma anche per impostarlo su basi “qualitativamente” nuove, sia sul piano sociale che ambientale. La “politica di austerità” così come veniva allora delineata non aveva, ovviamente, nulla a che vedere con la linea dei sacrifici a senso unico imposta nell’ultimo decennio in tutta Europa. Essa era esattamente l’opposto in quanto si proponeva di rimettere in discussione un modello di sviluppo e di consumi funzionale e subalterno alla logica privatistica indicando un assetto economico e istituzionale ispirato e guidato dai principi della produttività generale del sistema, della giustizia sociale, del rigore morale e politico, del godimento di beni autentici quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura.

Sarebbe arduo, anche per me che ho vissuto quel dibattito dall’interno del PCI, sintetizzare in poche righe gli aspetti innovativi o anche i limiti di quella proposta politica. Lo scopo di questa riflessione era comunque quello richiamato all’inizio e cioè la necessità che la politica, se vuole oggi recuperare un rapporto reale con i cittadini e non svolgere un ruolo subalterno ai grandi potentati economici, non può che tornare ad interrogarsi sulle grandi trasformazioni in atto a livello globale, i loro effetti sociali, gli obiettivi primari e irrinunciabili per rispondere alle domande ed ai bisogni dei cittadini. Continuando invece sulla strada della personalizzazione della politica, dei giochi elettoralistici e di potere, a quanto pare prevalenti nel dibattito odierno, non è difficile immaginarsi l’acutizzarsi della crisi della politica e la crescente divaricazione nel rapporto cittadini-politica-istituzioni.

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