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Opinioni

L’ERRORE DI ERDOGAN

VINCENZO CIARAFFA - 13/01/2017

I soccorsi dopo l’attentato alla discoteca Reina

I soccorsi dopo l’attentato alla discoteca Reina

Dopo l’ennesimo, sanguinoso attentato terroristico di matrice islamista alla discoteca Reina di Istanbul la notte di Capodanno, la maggior parte dei politici e dei media nostrani ed esteri ha commentato l’accaduto come si trattasse dell’attentato del solito fanatico religioso alla ricerca della catarsi purificatrice, tralasciando, secondo me, alcuni aspetti di fondamentale importanza.

Intanto bisogna dire che se la Turchia, una nazione in buona sostanza militarizzata, in un anno ha potuto subire sette attentati che hanno provocato trecento morti, come minimo si può pensare che da quelle parti gli apparati di sicurezza non funzionino granché bene. Il Paese, infatti, è sempre di più stretto nella morsa della guerriglia curda e del terrorismo dell’ISIS. Di là del sospetto che Erdogan e famiglia abbiano intrallazzato con i terroristi comprando e rivendendo ingenti quantità di petrolio sottocosto, il problema è molto più complesso: gli apparati di sicurezza turchi non potranno mai funzionare efficacemente fintanto che sarà operante un paradosso che li immobilizza. Erdogan, infatti, vuole ripristinare la “morale islamica” in un Paese che ha posto la laicità delle istituzioni ed apparati a fondamento della Costituzione, precisamente all’articolo 2 (“La Repubblica di Turchia è uno stato democratico, laico …”). E non sarebbe neppure questo il più grande problema che si trova ad affrontare oggi la Turchia, sennonché Erdogan ha commesso l’errore che di solito commettono i leader musulmani una volta conquistato il potere: tentano di esportarlo negli altri Paesi dell’orbe islamico, attribuendo a se stessi l’arcaico ruolo di Mahadi, una sorta di capo religioso e militare molto vicino come concezione messianica agli zeloti ebraici.

In tempi più vicini a noi, provò a suscitare attese mahdiste nelle popolazioni arabe anche Gamal Abd el-Nasser che, altro paradosso della storia dei Paesi arabi, è stato il presidente musulmano che più si è dato da fare per accelerare la modernizzazione della società egiziana. Per quanto la sua gestione politica e militare sia stata considerata fallimentare sotto ogni aspetto, è indubitabile che in Nasser le masse arabe riscoprirono l’uomo del destino inviato da Dio per risollevare le sorti di un Islam non ancora integralista. Anche il suo ennesimo insuccesso politico, il tentativo di unificare i Paesi arabi nella RAU (Repubblica Araba Unita), non appannò il credito del quale Nasser godeva presso la stragrande maggioranza delle masse, ma creò le premesse di una complessa, contraddittoria identità nazionale. Da quel momento, infatti, l’Egitto fu islamico, nazionalista e pure modernista perché si aprì ai valori, agli stili di vita e alla tecnologia occidentale, specialmente in tema di armamenti. Le contraddizioni egiziane del tempo di Nasser non erano diverse da quelle create oggi da Erdogan in Turchia, forse perché chi governa uno Stato musulmano, in ogni tempo deve tendere, innanzitutto, a realizzare i precetti del Corano, un testo sacro che non trasuda proprio democrazia e tolleranza.

Nel 1978, quando il mondo arabo ruppe i rapporti con l’Egitto a seguito degli accordi di Camp David con gli israeliani, il presidente Sadat pensò di creare un diversivo per l’opinione pubblica del suo Paese e, soprattutto, per i Fratelli Musulmani – che quell’accordo non volevano – ricorrendo all’esaltazione delle antiche radici faraoniche del Paese. Un tale tentativo era destinato a fallire perché Sadat, quando salì al potere per neutralizzare i vecchi dirigenti nasseriani di orientamento comunista/materialista, non esitò a risvegliare il sopito mito dell’Islam. Anzi, si può ben dire che, una volta imbrodatosi con la questione palestinese, fu proprio quel tentativo di ruffianeria storica a provocare un’involuzione straordinaria nelle gerarchie religiose egiziane, tant’è che furono gli stessi integralisti dei Fratelli Musulmani ad assassinarlo. Il successore di Sadat, Mubarak, commise lo stesso errore quando, abbandonato le velleità faraoniche del predecessore, pensò bene di tenere a bada gli integralisti puntando sull’identità araba, anticamera di un nazionalismo assurdo perché non esiste una nazione araba monolitica, anzi non esiste neppure una visione monolitica dell’Islam, ma almeno una decina.

Ecco, quelli fatti da Nasser, Sadat e Mubarak sono gli stessi errori che, pur considerata la diversa congerie storica, sta commettendo Erdogan in Turchia dove, pensando di poter tenere buoni i militari propensi alla laicità dello Stato, e gli islamisti anelanti al ritorno della tradizione religiosa nel governo del Paese, ha rispolverato il mito del Califfato Ottomano, sottovalutando i moltissimi rischi insiti in quest’operazione. Nella sua ristretta visione politica, infatti, il presidente turco non ha saputo valutare che il passaggio dall’imperialismo religioso Ottomano, al panislamismo, e da qui al terrorismo figlio dell’integralismo religioso, era fatale. Per adesso questa sottovalutazione gli è costata un tentativo di colpo di Stato per scalzarlo dal potere, golpe che, stante le premesse, non sarà l’ultimo nonostante le “purghe” ancora in atto in quel Paese. Erdogan è risuscito, infatti, nell’impresa di farsi dei nemici mortali tra i militari, ma anche tra i modernisti e i tradizionalisti turchi.

 

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