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Urbi et Orbi

VERSO LA DECADENZA

PAOLO CREMONESI - 13/01/2017

La Roma decadente nella “Grande Bellezza”

La Roma decadente nella “Grande Bellezza”

Digerite le abbondanti libagioni festive e metabolizzate le polemiche su alberi di Natale spelacchiati a Piazza Venezia e feste di Capodanno su ponti semideserti, la capitale ha intrapreso il cammino del nuovo anno in un clima di cauta rassegnazione.

Lo ha osservato recentemente in una intervista anche il segretario di stato Pietro Parolin: “Colpisce lo scoraggiamento generale, la carenza di speranza, una sorta di obliquo fatalismo che pervade gli abitanti”.

La città è stressata dai tanti problemi accumulati nel tempo. “Eppure – osserva ancora il cardinale – Roma dispone di innumerevoli risorse da tutti i punti di vista. Va bene lamentarsi ma poi si dovrebbe trovare il modo di essere propositivi e collaborare”.

Tutta colpa della nuova Giunta capitolina? Un acuto osservatore come Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, invita a uno sguardo più ampio: “Certo – risponde – da tempo manca una classe dirigente all’altezza ma credo che la questione sia che abbiamo perso il senso della funzione della capitale. Ci siamo sedutI sul ruolo di città del turismo, piena di ristoranti e tavolini ma con poche altre prospettive –prosegue il sociologo – e poi se l’ urbe si è involgarita la colpa è anche dei romani”.

Una volta Roma era il cuore della macchina amministrativa dello Stato. “Ma negli anni è andata in crisi anche questa funzione”, osserva ancora De Rita. “È saltato il ceto medio impiegatizio. Non c’è più il compito per il quale era stato pensato. Una volta fare il funzionario pubblico era uno status symbol. Ora la politica ha verticalizzato i poteri, svuotando di fatto la burocrazia”.

Persino un romano doc emigrato, Claudio Ranieri, allenatore del Leicester, non risparmia i suoi strali: “Le poche volte che ritorno al mio quartiere d’origine, il Testaccio, vedo solo un grande abbandono. Basta guardare lo stato delle strade. Sono così malmesse che a confronto la Parigi-Dakar sembra liscia. E poi all’ estero c’è maggior senso civico e di appartenenza. Noi invece ci culliamo sugli allori”.

Ripartire da dove? Per Francesco Piccolo, scrittore e sceneggiatore la questione non è così semplice: “Il problema è che i romani si sono stancati di Roma. La trattano come una cosa vecchia che non si sopporta più. Si sono stancati dei genitori, dei figli, degli amori,dei vicini, dei colleghi, delle luminarie di Natale e del Natale, delle vacanze e degli straordinari, delle fontane e delle riunioni a scuola, del car-sharing e dei sampietrini, di andare al teatro e di un ristorante buono, del cappuccino e della maratona. Si sono stancati delle cose che durano ma la cosa più incredibile è che si sono stancati anche delle novità. Mi dicono: ma non è difficile vivere in una città così? Sì è difficile, ma è entusiasmante. Muoversi dentro la nebbia della stanchezza e aver forza, ostinazione e gratitudine è come essere arrivati ad un livello molto alto di un videogioco”.

Antonello Venditti alla capitale ha addirittura dedicato un libro: “Nella notte di Roma”, pubblicato qualche mese fa da Rizzoli: “Questa città non si può giudicare freddamente”, dice. “Ha dentro di sé un’anima che risplende. Basta questo per amarla da un punto di vista estetico senza soffermarsi troppo sui buchi dell’asfalto. Noi sogniamo l’efficienza ma in realtà scegliamo la lentezza che entra a far parte di noi. Il romano si lamenta, punta il dito, accusa… ma dura un secondo perché subito si volta verso un lido sicuro, riposa i suoi occhi, abituati bene sul passato e la Grande Bellezza lo culla sino al prossimo risveglio”.

Guardare al passato. È sufficiente per vivere, se non diventa esperienza presente? Bella scommessa per i dodici mesi del 2017.

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