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Cara Varese

MONTE SERENITÀ

PIERFAUSTO VEDANI - 20/01/2017

rifugioI punti di partenza numerosi, e ben distribuiti consentivano l’accesso a tutte le guglie della montagna di Lombardia che nulla aveva ed ha da invidiare ad altrettanti splendidi luoghi amati delle Dolomiti e delle valli aostane.

Un programma di passeggiate sane e indipendenti, non collettive, in ragione di obiettivi di ricerche o di conferme ben diversi, certamente non tutti condivisivi o condivisibili.

Il sole, primo motore del mondo, sembrava avere fatto un patto con quei gruppi di varesini che, senza nulla avere pianificato assieme, guadagnavano quota con entusiasmo piegando dolcemente i grandi doni della natura verso l’ultimo traguardo, dove li attendeva la grande serenità di una comune scelta, non obbligata e tanto meno forzata.

La condivisione gioiosa di ideali politici e sociali era non solo ancora possibile, ma addirittura auspicabile e lo confermava l’ascesa di buon mattino della montagna. Una gioiosa marcia programmata lungo sentieri e mete sconosciuti ai più, ma certamente godibili come lo sono tutte le belle sorprese.

Figlio di uno scalatore nato e cresciuto ai piedi della tragica Grignetta, specialista in tradimenti, non ho mai preso in considerazione una montagna non comodamente raggiungibile in auto. Anche per questo motivo non mi ha scosso la notizia del tempaccio voltagabbana che, assolutamente inatteso, ha costretto gli scalatori di quello che possiamo chiamare Monte Serenità all’affannosa ricerca di quattro mura ospitali per ripararsi da una bufera di rara violenza, impensabile sino a pochi minuti prima.

Non è una favoletta, è un momento delle storie personali di noi che, venendo tutti da lontano e per strade diverse, amiamo il prossimo e ogni settimana lo andiamo a cercare ragionando e discutendo lungo i sentieri della nostra montagna amata che allo stato civile della comunicazione è conosciuta come RMFonline, ma a noi è caro chiamarla appunto Monte Serenità, dove quando c’è tempesta ci si ritrova tutti, uniti da ricordi in apparenza molto distanti l’uno dall’altro e un tempo addirittura incomunicabili, ma oggi momento prezioso di comune riflessione su occasioni e tesori di sensibilità sociale, cultura e umanità che la vita, per il tramite di grandi personaggi, più volte ci ha offerto e non abbiamo accettato. O addirittura snobbato.

La tempesta che rende angoscioso il nostro odierno cammino e la grande opportunità di incontro e amicizia rappresentata da un giornale coraggioso come l’hanno voluto Padre Gianni e Massimo Lodi mi hanno suggerito l’immagine che possiamo oggi dare di noi attraverso il nostro rapporto con l’avamposto di sensibilità e cultura nuove nel campo dell’informazione. Dove possiamo far affiorare o recuperare pienamente esperienze passate che chiedono di non essere dimenticate. Sono tante e tante le legittime aspirazioni alla ricerca di nuovi approdi ben lontani dalle odierne sabbie mobili delle illusioni che si presentano in continuazione come rimedio certo e invece appesantiscono sempre di più il nostro gommone che ha motore e timone inservibili.

Rocco Cordì e le sue riflessioni su Berlinguer alla prima nuvola nera mi hanno fatto trovare rapidamente il rifugio a prova di tempesta e ho constatato quanto siano vicine distanze un tempo abissali. Ed è apparso subito chiaro come riflessioni comuni possano aiutare quel processo di rigenerazione sociale indispensabile per una “remuntada” difficile ma non impossibile del nostro Paese.

Un’Italia che sin dall’800 può essere valutata in nanocurie nelle sue espressioni ritenute migliori nei settori economico, sociale, politico e militare. Già, è tempo di centenari, di ricorrenze, di retorica: se non si fosse collassato il fronte interno austriaco e se non ci avessero aiutato inglesi e francesi, chissà quante altre migliaia di nostri giovani sarebbero morti al fronte.

Oggi poi non possiamo nemmeno contrabbandare la grande Roma di 2000 anni or sono, ridotta come è a una fogna.

Hanno avuto pure il coraggio di piantarci una bandiera a cinque stelle.

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