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Economia

FUTURO DELLE BANCHE

GIANFRANCO FABI - 20/01/2017

banchePer le banche italiane il 2017 non sarà certamente tra gli anni più facili. Sono molti infatti i nodi che andranno sciolti per consolidare un sistema che resta centrale per garantire una corretta e positiva dinamica economica.

Sullo sfondo ci sono tre elementi particolarmente importanti. In primo luogo la rivoluzione tecnologica che sta cambiando radicalmente il modo di “fare banca”: gran parte delle transazioni viene ora eseguita per via informatica e la rete di sportelli, che fino a pochi anni fa era segno di valore, ora è divenuta in gran parte un costo da tenere attentamente sotto controllo. In secondo luogo c’è il clima di sostanziale stagnazione in cui, ormai da troppi anni, vive l’economia italiana; e questo si traduce in difficoltà per molte aziende, nonché per molte famiglie, a onorare i prestiti e i mutui che hanno ricevuto negli anni passati. Ultimo, ma non meno importante, è il fatto che è sensibilmente cambiato il mercato finanziario con tassi di interesse ormai comunemente vicini alla zero: uno scenario che rende sempre più difficile alle banche ottenere margini positivi sulla loro attività di intermediazione.

A questi elementi che riguardano tutto il sistema bancario si aggiungono poi situazioni del tutto particolari che toccano gruppi e singoli istituti.

C’è la complessa situazione del Monte dei Paschi di Siena dove, dopo decenni di gestione in chiave strettamente politica con un assoluto dominio della sinistra della città toscana, è stato necessario un intervento diretto del Governo per evitare la bancarotta.

Ci sono i problemi creati al sistema delle banche popolari dall’improvvido decreto del Governo di due anni fa che obbligava a grandi gruppi a trasformarsi in società per azioni: un decreto sospeso con troppo ritardo dal Consiglio di Stato per palesi elementi incostituzionalità.

Ci sono sullo stesso piano le trasformazioni imposte al sistema delle Banche di credito cooperativo che vedrà nascere due gruppi con il rischio di perdere gran parte dei tradizionali valori di legame con il territorio e di solidarietà finanziaria.

C’è da delineare un futuro per le due grandi banche venete (la Popolare di Vicenza e Veneto Banca) che hanno subito un drastico cambio di strategia dopo gestioni che hanno affiancato scarsa trasparenza, errori di valutazione, scelte operative scorrette ora al vaglio della magistratura.

Ci sarà per molte altre banche, in primo luogo per un colosso come Unicredit, la necessità di richiedere al mercato nuovi capitali per rispondere alle esigenze sempre più stringenti imposte dalle autorità di vigilanza e dalle regole internazionali.

Problemi di grande portata quindi e non può consolare il fatto che altri grandi paesi, come la Germania e la Francia, si trovano di fronte ad analoghe difficoltà per il livello dei crediti incagliati o per le attività finanziarie a rischio.

Ma l’Italia ha qualche problema in più proprio per l’incapacità del sistema politico di trovare una linea chiara di intervento per affiancare il sistema bancario nel trovare le proprie soluzioni. Lo dimostra il già citato provvedimento sulle banche popolari, lo dimostra il ritardo con cui si è interventi sul Monte dei Paschi, lo dimostra l’incertezza che ha contraddistinto la gestione delle crisi e le garanzie per i risparmiatori per le quattro banche locali del Centro-Italia “salvate” a caro prezzo un anno fa.

Il problema di fondo è che gli interessi della politica si sono si sono troppo a lungo intrecciati con quelli delle banche. E che sembra prevalere sempre di più la volontà di abbandonare quel modello italiano che, pur con alti e bassi, ha garantito per cinquecento anni un corretto equilibrio tra finanza ed economia. Un modello fondato sulle banche del territorio, sulle formule cooperative, sulla partecipazione dei clienti-soci, sulla solidarietà di sistema pur all’interno di una corretta concorrenza.

Ora va di moda il gigantismo, come se proprio la corsa alle dimensioni non sia stata proprio una delle cause della grave crisi finanziaria che stiamo ancora vivendo.

La speranza è comunque nel fatto che la tradizione italiana è comunque fondata sulla buona arte dei banchieri. Almeno fino a quando la politica non ci mette le mani.

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