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Storia

IL DANDOLO A TRASTEVERE

ANTONIO MAGATTI - 20/01/2017

La lapide ai patrioti varesini al Gianicolo, a Roma

La lapide ai patrioti varesini al Gianicolo, a Roma

Anita Garibaldi, pronipote di Giuseppe, frequentando i luoghi sacri delle gloriose battaglie delle difesa della Repubblica Romana del 1849, capitata in una vecchia osteria tra Porta San Pancrazio al Gianicolo e Trastevere trovava tracce  che indicavano quel luogo, già osteria a quei tempi, come deposito di emergenza dei feriti garibaldini e dei bersaglieri lombardi agli ordini di Luciano Manara, durante gli scontri con le truppe francesi accorse per riportare il papa a Roma.

Tra questi feriti spicca il nome a noi caro di Enrico Dandolo, varesino, cattolico praticante, arruolato come volontario nel reggimento dei bersaglieri lombardi di Manara. Qui, ferito a morte, Enrico, figlio di Tullio e nipote del più noto conte Vincenzo, veneziano, rifugiato a Varese dopo la caduta di Venezia ed il trattato di Campoformio tra Napoleone e l’impero austriaco, morì tra le braccia del fratello.

Vincenzo, fedelissimo del Bonaparte, era nato a Venezia nel 1759 e quel cognome l’aveva assunto -secondo il costume del tempo- suo padre, in omaggio al nobile Andrea Dandolo dal quale era stato tenuto a battesimo. E dal quale gli era stato trasmesso il titolo di conte. Nessuna parentela, dunque, con il casato che aveva dato alla Serenissima alcuni dogi. Il Dandolo studiò chimica e s’appassionò alla politica. A Varese capitò fuggendo dagli Austriaci  e grazie all’amicizia con un acceso giacobino, l’avvocato della curia Felice Lattuada, organizzatore di riunioni segrete nella chiesa di San Martino e aderente, con il Dandolo, alla Repubblica Cisalpina. Le sue benemerenze si rivelarono tali da indurre il Bonaparte a nominarlo governatore della Dalmazia prima e senatore del Regno Italico poi.

Il figlio Tullio, nato dal matrimonio con Mariannina Grossi discendente del fisico e storico Luigi, preferì non abitare nella villa in stile neoclassico che il padre s’era fatto costruire dall’architetto Pollack poco distante da quei platani -ancora oggi esistenti a Biumo inferiore- successivamente donati alla municipalità. Studioso di diritto, amante delle lettere e delle arti, creò a Cuasso la colonia agricola che da lui prese nome e venne affidata a padre Beccaro. I figli Emilio ed Enrico secondarono la sua attività patriottica. La secondarono e la moltiplicarono. Furono protagonisti delle Cinque giornate di Milano e difesero la Repubblica romana con i bersaglieri di Manara. Proprio a Roma, il 3 giugno del 1849 nei pressi di Villa Corsini, Enrico venne ucciso. Accanto a lui Emilio Morosini, varesino anch’egli e purtroppo atteso da identica sorte (lo ferirono gravemente il 29 giugno e si spense due giorni dopo).

Emilio Dandolo sarebbe vissuto qualche anno in più. Trascorso un periodo d’esilio a Marsiglia e Lugano e compiuto un lungo viaggio in Africa con l’amico Lodovico Trotti, si ritirò nel “Deserto” di Cuasso, dove attese come il nonno a ricerche sull’agricoltura, in cerca di guarigione dalla tisi contratta durante le battaglie risorgimentali. Ma a soli ventinove anni, il 20 febbraio 1859, passò a miglior vita. I suoi funerali, svoltisi a Milano, diventarono occasione d’un rendez-vous patriottico con migliaia di partecipanti e volle essere l’omaggio a una famiglia che si era adoperata per l’indipendenza dell’Italia sino a versare del sangue. Sino a offrire la vita.

Il 9 febbraio prossimo una delegazione di varesini, guidata dal presidente di  Varese per l’Italia 1859 Luigi Barion, sarà presente all’annuale cerimonia in ricordo della costituzione della Repubblica Romana e nello storico locale sopra Trastevere verrà fissata una targa in ricordo di Enrico Dandolo. Alla cerimonia sarà presente il nostro sindaco, Davide Galimberti.

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