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Attualità

DA CHE PULPITO

LUCIANO DI PIETRO - 18/02/2012

Come sparare sulla Croce Rossa. Parlar male di Celentano, adesso, è come sparare sulla Croce Rossa. Troppo banale, trita, insignificante, piatta, prevedibile, irrilevante, puerile la sua predica. Non da oggi, data memorabile del sessantaduesimo Festival di Sanremo (a proposito: qualcuno si è accorto delle canzoni?), ma da tempo, per non dire da sempre. Che dire? Dargli un consiglio, magari di vago stampo evangelico, visto che anche lui si proclama di casa presso le Sacre Scritture?

E allora eccolo (tanto, i consigli evangelici sono la merce più a buon mercato, anzi gratuita, alla quale tutti hanno libero accesso): caro Adriano, il buon Dio, al quale tu credi, ti ha donato un paio di innegabili talenti. E tu, almeno dal punto di vista mondano (ma Dio può anche accontentarsi), da servo buono e fedele, gliene hai restituiti certamente quattro, il doppio. È sufficiente: pretendere di restituirgliene quaranta può essere un peccato d’orgoglio e tu certo non vuoi peccare. Canta, che ti basta.

Tuttavia, in quella cornucopia di banalità che hai proferito senza rete di protezione, una l’hai azzeccata, almeno a parere di chi scrive, dimostrando una sensibilità religiosa autentica, imprevedibile nella sua radicalità: preti e frati non parlano mai, non parlano più del Paradiso, l’unica roba che potrebbe davvero interessarci. In effetti, assomigliano sempre più alle controfigure di quella specie di Babbo Natale fabbricator di panettoni e di biscotti, che, in uno slogan televisivo, esclama ed esorta: “Fate i buoni!”. Soltanto che, caro Adriano, mezzo minuto dopo questo rilievo, ti sei tirato la zappa sui piedi, come è inevitabile per un orecchiante, dote preziosa e necessaria per chi fa il tuo mestiere, ma da sfruttare con fine modestia, magari sconfinante nella quiete, quando si affrontano temi da custodire preferibilmente nel silenzio.

Infatti, hai promosso martire dell’incomprensione ecclesiale don Gallo, encomiabile personaggio, instancabile e commendevole predicatore del paradiso in terra (dunque, se abbiamo capito bene, non del Paradiso al quale tu facevi riferimento), che tuttavia nei suoi modi e nelle sue parole (ma nessuno osi giudicare le sue intenzioni!) non fa mai percepire alcuna alterità, alcuna novità, alcuna differenza rispetto al pur meritorio paradiso in terra predicato da Bertinotti (parlandone da vivo; in senso politico, ovviamente). Pensare a dare il pane, prima dell’Ostia Consacrata, è uno slogan di facile successo, che strappa l’applauso della platea, in genere equamente disinteressata tanto all’uno e quanto all’altra. E qui veniamo al punto, che non sei tu, carissimo Molleggiato, quasi coetaneo e colonna sonora della mia gioventù, ma il pubblico.

“Chiudere Avvenire e Famiglia Cristiana!” e il pubblico applaude (probabilmente senza aver mai speso un minuto per leggere, e tantomeno per giudicare, nessuno dei due giornali). Potevi anche aggiungere: “Piove, governo ladro!” e “Mettete dei fiori nei vostri cannoni!” e il pubblico avrebbe ancora applaudito. Ha applaudito anche quando gli volgevi le spalle per bere un po’ d’acqua, ha applaudito i tuoi silenzi (intense pause di meditazione di stampo liturgico o interludi forzati per mancanza di idee, di parole, di “sceneggiatura”?). E alla fine (come poteva mancare?), standing ovation secondo copione. Applausi. Applausi continui.

E tuttavia, caro Adriano, pur con tutte le polemiche che susciti, vogliamo ribadirlo: il centro della questione, il nucleo del problema, anche se ti spiacerà sentirtelo dire, non sei tu. Siamo noi, noi che ti applaudiamo. Non per le tue canzoni (le più gradevoli, tra l’altro, non esclusiva farina del tuo sacco), ma per il vuoto che l’attesa spasmodica della tua predica, altrettanto vuota, mette in evidenza. E che tutti noi ci mostriamo persino disposti a pagare, almeno con il canone Rai.

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