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Souvenir

LA CARTA ASSORBENTE

ANNALISA MOTTA - 24/02/2017

Un foglio di carta assorbente pubblicitaria

Un foglio di carta assorbente pubblicitaria

Ho trovato in fondo a un cassetto un foglio formato quaderno, sbriciolato ai margini come l’avesse mordicchiato un topo: ruvido e morbido a un tempo, fastidioso al tocco come lo scricchiolio del gesso. Un foglio di carta assorbente.

Una carta che è stata per decenni, forse per secoli, dopo la sabbia e il talco, l’attrezzo indispensabile di ogni scrivano, ma soprattutto di ogni scolaro – diligente! – per tamponare macchie, sbavature, esuberanza di inchiostro che inaspettatamente il pennino regalava nello scrivere; per sigillare la fine di un tema, o un dettato, o un problema, senza che la pagina di fronte si pasticciasse con le impronte di quella appena scritta (e infatti, ogni quaderno doveva avere la sua carta assorbente, tanto che ne vendevano di diversi colori).

I bambini duepuntozero pensano che carta assorbente sia un modo strano per indicare lo scottex, perché l’inchiostro non l’hanno mai visto, almeno quello vero, liquido e viscoso, che scendeva a piccoli fiotti dal fiasco del bidello per finire dentro un calamaio cilindrico di vetro, inserito nel foro circolare del banco in alto a destra (per la disperazione dei mancini).

Mi accorgo che sto usando termini quasi alieni: pennino, fiasco, calamaio… meno male che il bidello sopravvive ancora, pur con un nome diverso.

Il foro nei banchi, invece, no. Andavo ancora a scuola, quando il piano di formica verde del mio banco ne perse ogni traccia: mascherato da un falegname paziente? buttato insieme al ripiano vecchio? In fondo era solo un buco rotondo…

Peccato non aver conservato quei fogli cenciosi, sporchi e macchiati, di servizievole carta assorbente. Sarebbero un intrigante database del lessico che usavamo noi alunni fino anni ’50: vocaboli, frasi, pensieri, scarabocchi, bigliettini scambiati di straforo, e sempre accarezzati alla fine, come un rituale, dal peloso e confortante foglio assorbente.

Che registrava di ogni segno il suo contrario, come fosse uno specchio: e mi faceva stupire ogni volta di come parole familiari divenissero arabeschi misteriosi, solo a capovolgerle.

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