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Cara Varese

RIFONDARE DAVVERO

PIERFAUSTO VEDANI - 03/03/2017

molinaL’analisi  di situazioni determinanti per alcune svolte nella storia civica del Nord Ovest di Lombardia  ha fatto riaffiorare la portata di un errore commesso dai padri costituenti della Regione.  Avendo essi  forse  l’ambizione di dare alla nuova istituzione un taglio parlamentare non si preoccuparono di limitare nel tempo, con una norma statutaria, i mandati presidenziali, come avviene per i sindaci. E così ci siamo sorbiti  per ben quattro volte (1995-2013)  Roberto Formigoni la cui iniziale e positiva  matrice di cattolico DOC divenne alla fine  DOP, di origine  protetta, considerati trinceramenti e battaglie che si sono resi indispensabili per difenderlo da situazioni negative  attribuitegli da avversari politici e  ambienti giudiziari.

La lunga e libera permanenza di Formigoni  al potere  si è  rivelata alla fine non positiva come la  si annunciava a metà degli Anni 90, ma il  declino personale e del movimento che aveva proposto  il giovane leader al’attenzione generale  non può essere  attribuito unicamente all’assenza di  una norma statutaria: sono infatti saltati ben altri meccanismi di controllo degli equilibri che garantiscono  autorevolezza alla gestione, molto complessa, della cosa pubblica.

La vigilanza e la prevenzione nella gestione sono fondamentali e la vicenda del Molina ce lo ha ricordato clamorosamente.   Gli statuti per esempio non vanno lasciati invecchiare  e devono essere in grado di rispondere a esigenze e mutamenti imposti   dal progresso.

Quanto tempo è trascorso  da una revisione  costruttiva  dello statuto del Molina antecedente  la marcia su viale Borri della  silenziosa pattuglia di  ricercatori ex dc? Possibile che si  superi  di qualche decennio il secolo e sarebbero  passati parecchi altri anni  se non ci fosse stato l’evento finanziario  che ha suscitato perplessità non nell’opposizione, ma  in ex compagni di viaggio politico attratti appunto dall’innovativo governo della Fondazione  Molina. Sappiamo che ci vorranno mesi  per  una  decisione togata  prima che si concluda il percorso  giudiziario  e il Molina  possa essere affidato di nuovo a persone senza poteri da commissario. Un periodo di tempo  che per  istituzioni come Chiesa e Comune è più che sufficiente per concordare i ritocchi indispensabili per una gestione moderna, agile, trasparente di un patrimonio finanziario, sociale e morale  che da sempre è avanguardia nell’assistenza  ai nostri anziani. Oggi il Molina dà lavoro a 500 persone che devono prendersi cura di 500 ospiti. È un’azienda  che  deve amministrare  donazioni milionarie e che riceve ogni anno notevoli contributi dalla Regione: nulla di più chiaro e trasparente ci può essere al suo interno, appellarsi quindi  a uno statuto arcaico per spiegare scelte fatte  dai vertici  se giuridicamente ha una consistenza è di una ineleganza e di una inopportunità politica che  devono essere superate con la riscrittura di regole all’altezza dei tempi e che tengano conto anche di esigenze  di rappresentatività  di coloro che a vario titolo lavorano nella Fondazione  rendendo un nobile servizio alla città.

Davanti a una realtà così diversa e alle sue belle tradizioni  chissà se la politica farà  un passo indietro  rispetto alle sue abitudini odierne. Si spera il Molina non sia considerato come un centro di potere, un’occasione, ma semplicemente una  mano tesa proprio  alla città che dalla politica stessa poco o nulla  ha avuto in questi anni soprattutto in termini di tutela della salute.

Le vicende, davvero tristi, dell’ospedale di Circolo sono lì a dimostrarlo.  I varesini hanno reagito  spedendo il Centrodestra all’opposizione.  Una soluzione  rispettosa del problema è a portata di mano se si pensa al giudizioso distacco avuto storicamente dai partiti nei confronti della    Fondazione. Per tutto l’arco dei sindaci leghisti – ai   quali toccava la designazione di quasi tutta la squadra del Molina – le opposizioni non hanno mai creato problemi che invece oggi sono esplosi all’interno dell’ex maggioranza.

Esigenze statutarie a parte, oggi anche la questione Molina potrebbe riavvicinare la città alla politica dei tempi in cui chi  si distingueva  per sensibilità e scelte sociali veniva chiamato a ricoprire delicati incarichi pubblici.

La  cronaca del Dopoguerra ci dice che sono state collaborazioni vincenti, i cittadini non l’hanno dimenticato e oggi – le elezioni amministrative lo hanno dimostrato –  con le liste civiche  l’ex popolo degli indifferenti o degli annoiati è già in grado  di  dimostrare quanto stia diventando consistente il suo  peso nei rapporti con la politica.

Allora ecco che anche uno statuto moderno per il Molina può essere un importante  segnale se il servizio ai nostri anziani  sarà riprogrammato  nel rispetto di una cultura assistenziale già esemplare,  ma che potrà avere riferimenti ancora più agili e moderni. Tali da scoraggiare  chi vuole praticare vecchi percorsi con vecchi sistemi.

Il recupero del rapporto  tra politica e cittadini ha indirettamente avuto una indicazione dalla nomina a cavaliere di Ambrogina Zanzi e Guido Ermolli, esempi di dedizione professionale e istituzionale e di  amore per Varese. La dottoressa Zanzi è una  amministratrice di grande livello e combatte la buona battaglia  sociale e culturale guidando gli Amici del   Sacro Monte.

Guido Ermolli, ex segretario del sindaco Ossola, aclista militante, come esemplare ex  presidente del Molina  è stato eliminato  da congiurati del suo partito, di ispirazione cristiana.

Zanzi ed Ermolli hanno ricevuto la nomina decisa dal presidente della  Repubblica  su segnalazione partita da Varese. Conta molto avere un Prefetto intelligente,  molto discreto e che come concittadino conosca  alla perfezione  la nostra gente. Se un giorno anche Bobbiate  dovesse avere il potere  di assegnare cavalierati si ritroverebbe con dei problemi.  Di inflazione, in ambito politico.

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