Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Società

IL RIFORMISTA PERDUTO

GIANFRANCO FABI - 10/03/2017

Marco Biagi

Marco Biagi

Il 19 marzo di quindici anni fa veniva assassinato a Bologna Marco Biagi, professore di diritto del lavoro, consulente del ministero, fortemente impegnato nel sostenere la necessità di una profonda riforma di un mercato incapace di rispondere alle esigenze di una società in grande trasformazione. Pochi anni prima, il 20 maggio del 1999, lo stesso gruppo armato definitosi “Nuove Brigate rosse” aveva assassinato Massimo D’Antona, anch’egli consulente del ministero del Lavoro e docente di diritto sindacale a Roma e a Napoli.

I due attentati, che hanno colpito due servitori dello Stato impegnati in prima linea sul fronte delle riforme, sono stati gli ultimi colpi di coda di un terrorismo che ha contrassegnato drammaticamente gli ultimi decenni del secolo scorso. Un terrorismo che comunque ha probabilmente condizionato, ma non è riuscito a fermare quel processo di riforme che era e rimane indispensabile per rispondere alle esigenze della società.

Il tema del lavoro è sempre stato un tema particolarmente sensibile, un tema che ha sempre provocato forti contrasti sociali e durissimi scontri politici. Il sindacato ha continuato per anni nella strategia della lotta di classe, del conflitto come metodo di soluzione dei problemi. E la legislazione ha avuto una spinta, ampiamente giustificata, sul fronte delle garanzie, ma senza offrire adeguati sostegni alla dinamica delle imprese.

Come scriveva Marco Biagi “mentre il mercato e l’organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità, non altrettanto avviene per la regolazione dei rapporti di lavoro. La stessa terminologia adottata nella legislazione lavoristica (per esempio: posto di lavoro) appare del tutto obsoleta. Assai più che semplice titolare di un “rapporto di lavoro” il prestatore di oggi e soprattutto di domani, diventa un collaboratore all’interno di un ciclo”. Una visione che negli ultimi anni si è dimostrata di grande attualità con la profonda trasformazione che sta avvenendo nel settore manifatturiero, così come in quello dei servizi dove i concetti di competenza e di capacità stanno prendendo rapidamente il posto di quelli come mansioni e procedure.

Ma intervenire sulle regole del mercato appare sempre difficile e complesso. Lo dimostra la richiesta di referendum sostenuta dalla Cgil, che ha raccolto tre milioni di firme, per sopprimere le recenti novità sull’art. 18, sui voucher per i lavori temporanei, sugli appalti. Il quesito sull’art.18 è stata dichiarato giustamente inammissibile dalla Corte costituzionale dato che era formulato in modo da costituire non tanto un’abrogazione di una norma, quanto la sua sostituzione con un’altra del tutto diversa.

Rimangono i quesiti su voucher e appalti, ma il Governo appare impegnato a presentare un decreto legge per modificare sostanzialmente la normativa contestata. Al di là delle posizioni ideologiche non si può non riconoscere che questi due temi sono quelli per i quali la riforma chiamata “jobs act” ha le maggiori ragioni per essere contestata. Perché la normativa sui voucher ha aperto la strada ad utilizzare questo strumento anche per condizioni di lavoro che potrebbero essere inquadrate in normali rapporti contrattuali. E perché le disposizioni sugli appalti hanno limitato la responsabilità delle aziende che dopo aver vinto un appalto garantiscono l’opera attraverso un subappalto.

Resta comunque il fatto, come detto, che il tema del lavoro resta un tema di grandi contrasti e di aspre polemiche. Gli stessi effetti del jobs act, ormai in vigore da due anni, sono visti in prospettive completamente diverse da sostenitori e detrattori. Perché se è innegabile che è aumentato il numero dei contratti a tempo indeterminato nessuno può realisticamente giudicare quanto questo risultato sia dipeso dalle nuove regole, quanto dalla generosa decontribuzione per i nuovi assunti, quanto dal più favorevole clima economico, quanto ancora dalla maggiore disponibilità di manodopera anche grazie all’immigrazione. E quindi con gli stessi numeri si può dimostrare tutto e il contrario di tutto.

Resta il fatto che più che di lotte ideologiche il mercato del lavoro in Italia avrebbe bisogno di scelte lungimiranti e condivise, scelte che affianchino alla necessaria flessibilità una più ampia garanzia sociale per superare le difficoltà.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login