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Chiesa

UN CUOR SOLO

EDOARDO ZIN - 10/03/2017

Il cardinale Scola in San Vittore

Il cardinale Scola in San Vittore

È stato un Arcivescovo inconsueto quello che venerdì scorso ha accolto nella basilica di san Vittore le componenti ecclesiali della porzione di chiesa ambrosiana che vive nel decanato di Varese. In tono amichevole, talvolta ilare, ha conversato con i presenti che gli hanno posto domande, riconosciuto difficoltà, sollecitato chiarimenti. Il Cardinale ha risposto come un padre che conosce i suoi figli e ai quali desidera dare consigli. Ha ammesso lui stesso che sta visitando tutti i decanati della diocesi non per guidare, ma per consolare, per non lasciare che i suoi figli cadano nel peccato della rassegnazione o nello sconcerto della solitudine. Come pastore ha confidato ai figli i ricordi della sua vita perché ne facciano tesoro: ha ricordato suo padre, socialista massimalista convinto, da cui ha ricevuto non un’affettuosità melliflua, ma l’esempio di uno stile di vita improntato alla sobrietà e alla giustizia verso gli altri, ha ammesso di tifare per il Milan, ha ricordato i suoi trascorsi giovanili passati a Varese quando scriveva sul giornalino studentesco “Il Michelaccio”, ha fatto riferimento alla biasimevole gaffe – scusata dai varesini, ma non dai lecchesi – pronunciata circa il declino della fede a Varese e a Lecco…

È venuto Scola a Varese sulla scia dei suoi predecessori. Ha ricordato le fatiche a cui si sottopose San Carlo per visitare, a dorso di cavallo, tutte le più remote valli della vasta diocesi per dare attuazione ai dettami del Concilio di Trento. ”Sono venuto qui, stasera, per ascoltare le vostre istanze e ricercare con voi una nuova creatività per vivificare la nostra vita di fede”.

Di uno dei suoi predecessori, Giovanni Battista Montini, ha ricordato l’espressione che egli, da giovane assistente della FUCI, scriveva già nel 1932: “La cristianità nel nostro paese ha già voltato le spalle a Cristo”. E che, da Arcivescovo, riprese nel 1957: “Il dramma della Chiesa è il fossato che si è creato tra fede e vita”. Scola ha posto l’accenno sul grande cambiamento d’epoca che siamo vivendo, aggravato dalla liquidità della società attuale e ha invitato tutti ad avere occhi e mentalità nuova per comprendere la realtà e viverla, tralasciando abitudini obsolete, “ retaggio di convenzioni che nessuno vuole perdere” e assumendo di conseguenza comportamenti nuovi, privilegiando “la Tradizione piuttosto che le tradizioni”. Occorrerà mettere in conto qualche resistenza o stanchezza nel togliere la polvere che si è posata sulla vita dei cristiani e che non sono capaci di detergere, ma il nuovo modo di vivere la fede oggi passa attraverso lo stile di vita quotidiana.

Cercheremo di riassumere le risposte date dall’Arcivescovo agli interventi dei rappresentanti dei vari movimenti e associazioni attorno a tre nuclei fondamentali: l’Eucarestia come fonte della fede, la necessita d’impostare un’azione educativa integrale, l’unità nella multiformità.

La fede è un incontro personale con Gesù. “È necessario – dice Scola – fondare la nostra fede che nasce sull’Eucarestia domenicale perché diventi fonte per l’annuncio del Vangelo e per uno stile di vita coerente con essa:” Ho l’impressione che non si porti l’azione centrale della vita, l’Eucarestia, dentro la storia e la realtà effettiva”. Nell’Eucarestia la Chiesa compie un atto profetico per tutta l’umanità perché annuncia la realizzazione della Parola di Dio e perché i cristiani, cibandosi del medesimo Pane spezzato, proclamano la fraternità fra tutti gli uomini, soprattutto fra i più poveri. In questo modo Dio irrompe nella storia, “che è la mano di Dio”, e infrange le tragiche disperazioni dell’uomo. L’Eucarestia è un’azione comunitaria che ispira la spiritualità personale, ma rischia di essere solo un rito se non diventa vita. Sarà necessario, pertanto, dare alla domenica motivazioni più profonde e letizia più alta.

Sollecitato da un giovane, da un responsabile di un oratorio, da una dirigente di un centro culturale e da una catechista, l’Arcivescovo inserisce nel suo dialogo il pensiero sull’educazione e sulla ricchezza dei suoi momenti formativi. Subito il fine primario: l’incontro con Cristo che “è radice della nostra appartenenza al corpo vitale della Comunità”, segue il richiamo pedagogico: “l’educazione o è integrale – bada all’uomo intero – o non è”. La persona ha bisogno di una comunità per realizzarsi e viceversa. Seguono educazioni pratiche: facilitare l’incontro tra giovani e adulti in una comunità vitale “che vive ciò di cui parla” perché “non c’è educazione senza l’adulto”, chiede che la proposta educativa dell’oratorio sia “di qualità” e che sia aperto a tutti perché “è la realtà che ci educa”. Invita coloro che operano nel campo culturale ad aiutare “a superare la confusione dominante che ci attanaglia” e a ragionare assieme sugli eventi della quotidianità e su quelli straordinari della storia, anziché dividerci.

Scola definisce “preziosissima” la domanda rivoltagli da un laico di A.C. circa la sinergia tra le diverse parrocchie e la comunità o unità pastorale, tra i vari movimenti e associazioni. Non teme l’Arcivescovo di definire “clericalismo” l’autoreferenzialità intesa in riferimento a una realtà animata da simili o uguali con interessi identici e richiama il valore della diversità nell’unità. La multiformità è un dono profetico per la Chiesa: alla somiglianza, che può diventare fondamentalismo, integralismo si privilegi la differenza, alle derive settarie il valore della persona con la sua singolarità, all’esclusione si preferisca il dialogo, alla condanna, l’ascolto, al pettegolezzo la comprensione e la tolleranza. Ascoltando Scola, ci è sovvenuto il detto di Alberto Magno”. Cercate la Verità nella dolcezza della compagnia”.

Un pensiero, infine, al volontariato e – sulla scia di Papa Francesco – “a uscire verso le periferie esistenziali” perché “il campo è il mondo intero”.

Dopo esserci ritrovati assieme, ciascuno con i propri doni e le proprie miserie, facendo ritorno alla propria casa, nell’uggiosa serata, sarà risuonata nel cuore di qualcuno la breve lettura proclamata all’inizio dell’assemblea:” in nome di tutti” abbiamo parlato a Dio “con un cuor solo e un’anima sola”.

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