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Souvenir

L’ESKIMO FAI DA TE

ANNALISA MOTTA - 10/03/2017

ricicloCome il bisonte per gli Indiani. O più italianamente, come il purscell, nel senso del maiale. Del quale non si buttava nulla, fino agli zampetti e al codino a virgola, per non parlare delle budella e della cotenna setolosa. Così di ogni cosa di uso quotidiano, fino al boom degli anni ’60, la parola d’ordine era “riutilizzare”, quando ancora il termine “riciclo” dormiva nella mente di Dio. Ed era soprattutto nella categoria vestiario, che mamme e sartine si sbizzarrivano nel ridare vita – pressoché all’infinito – a tutta la stoffa che girava per casa.

Le lenzuola ricamate ormai lise rinascevano come salviette, poi asciugapiatti, poi pezzuole multiuso. Dalle camicie da notte, di quel famoso percalle che le ragazze di oggi pensano sia un fiore, si ritagliavano fazzoletti morbidissimi per i nasini raffreddati e garze per impacchi. I cappotti naturalmente si passavano dal padre ai figli, con i dovuti ritocchi, e dai fratelli maggiori ai minori, rivoltandoli all’occorrenza per nascondere l’usura sui risvolti e sul collo; medesima sorte toccava alle camicie da uomo, fornite sul mercato con colli di ricambio, che si potevano anch’essi rivoltare in casi estremi, celando l’asola col bottone e aprendone una nuova sul lato opposto. Le maniche dei golfini si sferruzzavano partendo dalla spalla, per poterne allungare i polsi con qualche giro di ferri, se le braccia crescevano troppo, in fretta, creando quell’effetto striminzito che ritroviamo nelle foto di allora. E quando il maglione era proprio da buttare, si salvavano le maniche, con tanto di rattoppi sui gomiti, provvidenziali e antesignani leggins per tenere al caldo le gambette di chi cominciava a gattonare. E le polacchine troppo piccole? Chi di noi non ha il ricordo di un paio di scarpe con la punta della tomaia mozzata dal calzolaio, per far uscire il ditone troppo cresciuto, arrangiandole in improbabili sandali?

Il mio ricordo si fissa su un eskimo verde militare, conquistato a fatica – erano ormai gli anni della contestazione – per non sfigurare tra i compagni di università con il mio borghesissimo cappottino blu. Giaccone imbottito malamente, tanto che si provvide a rivestirlo di un gilet di lapin all’interno, ricavato da chissà quale capo materno; ma, e le maniche? Cosa di meglio di un avanzo di vestaglia trapuntata sfuggita al macero? E così il mio fu l’unico eskimo della storia con le maniche foderate di nylon bianco a bolli azzurri e blu.

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