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Opinioni

DOVE SIAMO FINITI

FELICE MAGNANI - 24/03/2017

famigliaOggi il mondo che ci si presenta davanti non è più quello sfumato, pudico, un po’ pretino, ma è quello delle verità sbattute in faccia senza ritegno, come se le persone fossero improvvisamente diventate altro rispetto a quello che erano. Siamo testimoni di verità che vengono issate sui pennoni come conquiste, siamo continuamente sbattuti di qua e di là da studiosi della tristezza umana.

Dove sono finite quelle belle famiglie patriarcali delle partite a briscola, animatrici di quelle serate invernali passate davanti al camino a sentir raccontare storie di vita? Dove sono finiti quei nonni così attenti e desiderosi di stare con i propri nipotini, quei papà gran lavoratori, sempre fuori giorno e notte a faticare, quelle mamme premurose, sempre pronte a darti una mano nei compiti, negli acquisti, nell’insegnarti le belle maniere.

Era un mondo incredibilmente bello, capace di tirarti fuori il cuore, di farti sentire felice anche quando prendevi un brutto voto e sembrava che il mondo ti cadesse addosso da un momento all’altro. Vivevi fuori casa tutto il giorno e dalla vita imparavi tutto o quasi, in particolare che era bellissimo costruirsi giocattoli con le proprie mani, senza spendere una lira. Vivevi all’aria aperta sotto l’occhio vigile della mamma, che vedeva tutto anche quando poteva sembrare che non vedesse nulla.

Del papà bastava uno sguardo, che andava dritto fino in fondo e che lasciava messaggi capaci di farti capire il senso della vita più di mille parole inutili. Il papà difficilmente prendeva le difese del figlio. Si informava, ma stava sempre dalla parte della verità e del buon senso, non si dava le arie del protettore a oltranza, i figli erano persone che dovevano comportarsi con rispetto, assumendosi le proprie responsabilità.

Oggi in molti casi il papà non esiste o esiste solo per difendere il figlio anche quando arriva a compiere misfatti. Ci sono padri che non sanno più educare, che si vogliono sostituire alle figure preposte senza averne la capacità. Con i loro comportamenti creano ambiguità, antagonismo, violenza, aggressività, in molti casi sono loro ad alimentare le ritorsioni, le malvagità giovanili, quelle che hanno gravissime ripercussioni sul sistema educativo generale. Ci sono padri che non esistono, che hanno abdicato al loro ruolo, pensando che la madre possa fare tutto e il contrario di tutto, senza sapere che i figli hanno bisogno di entrambi, della dolcezza materna e della fermezza paterna. Padre e madre insieme diventano la massima espressione educativa a cui un giovane possa ambire.

Una famiglia unita è il vero pilastro dell’unità nazionale, è la forza di una costituzione, il simbolo di un paese e della sua maturità sociale. Più le famiglie si disgregano e più il paese perde la sua identità, diventa fragile, incapace di affrontare con determinazione e sicurezza le difficoltà che lo attendono. La politica ha il dovere di salvaguardare l’istituto familiare, ha il dovere di potenziarlo, di creargli attorno la possibilità di rafforzare la propria identità. È in questa prospettiva che il ruolo della donna diventa fondamentale, è nella promozione dell’educazione familiare che nasce e si sviluppa la forza di una nazione, la sua capacità di esprimere al massimo livello le sue potenzialità, il suo slancio etico, la sua forza persuasiva, quell’armonia che ne caratterizza l’unione. In questi anni la famiglia tradizionale ha perso moltissimo della sua capacità educativa, in molti casi è diventata un luogo di sopravvivenza, di irriverenza, è riuscita persino a diventare antagonista proprio quando il suo agonismo educativo avrebbe dovuto unire e rilanciare lo sguardo spento del mondo.

La parità conseguita a suon di corsi e ricorsi, di verità sbattute sul campo come veleni, di colpe e contro colpe non hanno certo giovato a una distesa tranquillità familiare fondata sul riconoscimento etico di un impegno che, per sua natura, supera di gran lunga i principi fissati dalla legge.

Forse in molti casi la società civile e lo stato si sono dimenticati della famiglia, della sua forza compositiva, della sua energia propulsiva, del suo essere la garante numero uno di quel sistema democratico di cui si parla moltissimo, ma che si fa pochissimo per rivestirlo di quell’ identità che gli compete di diritto. Oggi siamo qui a parlare di quale famiglia, come se la realtà facesse paura, come se all’improvviso il mondo fosse diventato un oceano di dubbi di fronte ai quali s’infrange l’unica verità possibile, talmente vera da essere riconosciuta prima ancora che dalle leggi dello stato, dalla natura stessa delle cose. Siamo dentro un turbine da cui emergono anche le idee più strane, come quella che induce l’uomo a diventare arbitro della vita, di una vita che ha ricevuto in dono con il compito di portarla fino in fondo nel miglior modo possibile. Viviamo il tempo della precarietà, il tempo di una fede che ha perso il suo valore assoluto e che diventa molto spesso strumento di accomodamento e di visione personalistica della verità. Gli uomini adulano, sorridono, sono bravissimi nello schivare, nel far scivolare e lo fanno con quella naturalezza che farebbe venire la voglia di gettare le braccia al collo per dire grazie, se subito dopo non ti accorgessi che la furbizia umana non ha confini, non ha limiti e che è molto più infida di quanto si possa immaginare.

 Eppure la collaborazione, quando è vera collaborazione, è la chiave di volta di un’amicizia e di una volontà che vogliono modificare in meglio la realtà, la molla che fa scattare i grandi cambiamenti non solo materiali, ma soprattutto morali, quelli legati ai comportamenti delle persone, al loro modo di essere nella famiglia, nella scuola, nella comunità, al loro desiderio di vivere in un ambiente dove il rispetto sia la vera chiave di volta del cambiamento.

Uno dei problemi che oggi vanno per la maggiore è la presunzione di chi si sente arbitro di una situazione solo perché ha ricevuto un mandato elettorale, come se dietro a quella scelta ci fosse una conoscenza reale e profonda di verità che vengono da molto lontano. In molti casi le scelte vengono fatte sulla base di un passaparola, di un’appartenenza sociale, politica, di una categoria, di qualcosa che assomiglia vagamente a un certo modo di intendere la realtà, ma la verità è che nessuno sa con certezza chi si nasconda veramente dietro quelle frasi e quelle parole dette ad hoc per accaparrarsi un briciolo di clientelismo. Il clientelismo, ecco la vera piaga di una società che ha perso la capacità di ragionare sul serio sulle cose, di saper distinguere il bene dal male, di cercare di sapere chi sia veramente in grado di offrire un appiglio sicuro.

Ci sono piccoli politici di periferia che sono diventati bravissimi a procacciarsi i voti. Ormai lo fanno con la smagata ilarità di chi ha frequentato l’università della furbizia, lo fanno per abitudine, per dipendenza, per continuare a elemosinare, per andare a spasso con il tricolore appeso al collo, per non perdere il treno, per dimostrare a se stessi che hanno conquistato quel prestigio inseguito da sempre.

Tutto il loro impegno, nella maggior parte dei casi, volge verso il proprio ego, nell’intento di procrastinare il più possibile l’illusione di essere i salvatori del mondo, di dimostrare che con un marciapiede nuovo si possa ambire a conquistare il diritto all’eternità o la fede sicura dei propri adepti. Forse o senza forse Giacomo Leopardi aveva ragione quando prendeva di mira la ragione umana, ritenendola rea di molte delle disillusioni che sono alla base della sofferenza del genere umano. Con la sua intelligenza ha cercato in tutti i modi di far capire qualcosa di più, ha cercato di andare oltre il materialismo e di restituire alla prosa la sua veste lirica, quella che non tradisce mai perché non è umanamente corruttibile, perché malgrado tutto è ancora capace di restituire un briciolo di onestà morale, di idealità, di voglia di purezza e di bellezza.

Non era molto ascoltato all’epoca, ma il suo pensiero è volato oltre confine ed è arrivato fino a noi, per dirci che la poesia ha ancora una valenza primaria e che anche la verità più triste può trasfigurarsi e rimettere in moto la voglia di vivere, quella che sa andare oltre le apparenze e che procede dritta verso quella dimensione umana della vita che rende tutto più agevole, anche stare insieme, collaborando veramente per difendere quelle verità sulle quali abbiamo fondato con gioia e con fatica le condizioni essenziali della nostra felicità.

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