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Attualità

EUROPA IN CAMMINO

EDOARDO ZIN - 07/04/2017

La veglia ecumenica nella ricorrenza dei trattati di Roma

La veglia ecumenica nella ricorrenza dei trattati di Roma

“Perdona le nostre insensibilità e le nostre paure. Perdona la nostra poca speranza. Perdona i nostri egoismi, i nostri nazionalismi. Perdona la nostra indifferenza verso i rifugiati, uomini e donne, bambini e anziani arrivati in Europa. Fa’ che il nostro Vecchio Continente possa offrire loro accoglienza e rifugio. Insegnaci a riconoscerli come nostri fratelli e nostre sorelle”. È incominciata con un’invocazione di perdono la veglia ecumenica di preghiere, tenutasi nella basilica dei XII Apostoli a Roma, alla vigilia della firma della dichiarazione d’intenti tenutasi in Campidoglio in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma.

Nell’antica basilica testimone di un grande passato sono convenuti cattolici, cristiani delle chiese riformate (luterani, calvinisti, battisti, evangelici, metodisti, presbiteriali), anglicani e ortodossi per invocare pace, solidarietà, prosperità e unità per l’Europa. Alcuni provenivano direttamente dall’udienza che papa Francesco aveva concesso loro. E così è capitato che un diplomatico fosse accanto a un giovane studente, che un eurodeputato cantasse le lodi all’unisono con la signora attempata, che il presidente di un comitato europeo pregasse avendo vicino la famigliola di uno statale romano… Erano tutti assieme per contemplare l’anima dell’Europa, che ha ricevuto in eredità la chiara legge del Sinai e l’appello forte e tenero delle Beatitudini, il senso del valore della “polis”, del “logos” e della democrazia da Atene, il senso del diritto da Roma. Erano assieme a ricordare l’opera evangelizzatrice e di promozione umana dei benedettini, l’ingegno dei costruttori di cattedrali, il valore della dignità di ogni uomo proclamato dall’illuminismo. Erano assieme a Roma da dove Cirillo e Metodio, dalla basilica di san Clemente, erano partiti per evangelizzare l’Oriente, da Roma, sede di Pietro, che con la sua universalità ha sublimato le radici della storia e della cultura europea.

E mentre nella basilica si pregava, si ascoltava la Parola, si cantavano lodi al Signore della Storia, in cinquanta chiese e templi d’Europa – da Parigi a Lisbona, da Como a Szeged, da Bruxelles a Matera – cristiani di tutte le confessioni erano uniti spiritualmente a quelli di Roma. La sera precedente, in Santa Maria sopra Minerva, dove riposa Santa Caterina da Siena, compatrona d’Europa, si erano radunati per una veglia di preghiera i cattolici dell’Urbe.

Si ascolta il profeta Isaia (“Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci”), l’apostolo Paolo che negli Atti degli Apostoli racconta di aver avuto in Troade una visione di un uomo macedone che lo supplicava di andare in Macedonia (cioè in Europa): “e cercammo subito di partire per quel paese, tenendo per certo che Dio ci aveva chiamati là ad annunziare il Vangelo”. Le letture sono intercalate da canti in latino e in greco.

Si proclama il Vangelo: “Voi siete il sale della terra…voi siete la luce del mondo”. La omelia di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, è un invito ai cristiani ad “essere luce che illumini senza pretendere di accecare”, di “essere sale che dà un gusto delicato senza la pretesa di omologare tutto. Pensate quanto fastidio provoca una luce che acceca e quanto disgusto c’è in una pietanza con un eccesso di sale!”. Galantino – è chiaro – si rivolge ai cristiani di tutte le confessioni che si presentano nella vita civile e politica come ‘cristiani’ perché venga subito dato loro credito, perché venga riconosciuto loro la funzione di ‘luce’ (cioè di punti di riferimento) e di ‘sale’ (cioè portatori di senso): “È una tentazione che può toccare ogni uomo di qualsiasi estrazione, anche al di là di una sua appartenenza religiosa”, mentre Dio vuole essere presentato e testimoniato con la stessa forza ed evidenza della luce, con lo stesso sapore forte del sale, ma attraverso scelte e gesti concreti che danno gusto e contagiano il senso di vivere e che nel contempo siano miti e rispettosi anche di chi non è credente.

Non dimentica il vescovo Galantino che anche l’assenza negli ultimi anni dell’impegno dei cristiani per la costruzione dell’Europa unita ha portato alla decadenza spirituale e culturale del Vecchio Continente e alla frammentazione fra i paesi membri. La comunione tra le confessioni cristiane, la riconciliazione tra paesi una volta nemici, infatti, possono portare all’unità e produrre insieme frutti cristiani, ecumenismo ed europeismo camminano assieme:”

A questa Europa bella, ma con la tentazione di chiudersi in se stessa, a questa Europa tentata di creare nuovi muri, noi cristiani ci impegniamo ad aprire nuove strade e a ipotizzare nuove possibilità, osando di più e lottando contro il fatalismo e l’assuefazione: due malattie mortali, non solo per il credente!”

Il segretario generale della CEI incita alla speranza e al dialogo con il mondo che cambia: “Dobbiamo tornare a sorridere e a far sì che a chi ci incontra torni il sorriso perché si sente compreso, perché incontra gente che non sopporta lo spirito guerrafondaio e discriminante della ‘anime piccole’ “.

Non si può negare che il cristianesimo, nel bene e nel male, costituisca una considerevole ricchezza della civiltà europea, ma chi tenta in nome delle radici cristiane dell’Europa d’impossessarsi non solo di invadenti schemi politici ma anche del ritorno a una mondana cristianità dimentica che le radici rimandano al seme da cui si sono diramate lungo i secoli le radici da cui nascono i rami della pluriforme cultura europea: nessun ramo vive per proprio conto, ma ognuno dà al tronco comune lo spicchio di sole che riesce a catturare al sole con le proprie foglie.

Lo spiegava molto bene il cardinale Marx, presidente delle conferenze episcopali dell’Unione Europea: ”L’Europa ha forti radici cristiane. Ma questo non deve far dimenticare il fatto che le nostre società sono diventate oggi plurali. Una cosa rimane importante: l’Europa non può bastare a se stessa. Con le sue culture e tradizioni filosofiche e religiose, l’Europa deve trovare una maggiore capacità politica per contribuire allo sviluppo planetario”.

Da qui l’impegno dei cristiani in politica che spesso viene ridotta ad un insieme di reazioni, spesso urlate, spia della carenza di ideali e della ricerca immediata del consenso elettorale.

I cristiani riuniti in preghiera, alla vigilia dei 60 anni dell’Unione Europea, hanno rinnovato il loro impegno per consentire all’Europa di essere luce per tutte le genti, a impegnarsi per abbattere le barriere che ancora dividono e a risolvere i problemi globali che sono la causa delle migrazioni, a colmare il cuore di molti giovani di valori perenni che diano un senso alla loro vita, a sradicare le cause più profonde del terrorismo, a incitare i reggitori dell’Europa a proseguire la strada iniziata più di sessanta anni fa dai padri fondatori.

Domani i capi di stati e di governo firmeranno una dichiarazione d’intenti per il rilancio dell’integrazione europea: resteranno solo buoni propositi? Domani i giovani del Movimento Federalista Europeo marceranno per le strade di Roma come segno del cammino finora intrapreso dall’Europa e per indicare i futuri traguardi a cui deve giungere l’Europa. Questa sera i credenti delle diverse confessioni hanno pregato e riflettuto assieme.

Una cerimonia per ricordare e guardare al futuro, una marcia per indicare che l’Europa è in cammino, una preghiera come sosta per riprendere fiato, ritemprare forze, dissetarsi alla fonte perché solo Dio potrà salvarci dalla siccità “a motivo del sentimento tutto cristiano delle nostre colpe” (J.P. Sartre).

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