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Società

QUALE POVERTA’

FELICE MAGNANI - 07/04/2017

Road sign to  education and futureI saggi dicevano che non si finiva mai di imparare e avevano ragione. Chi ha un minimo di dimestichezza con la natura umana sa quanto sia volubile, imprevedibile, incoerente, irresponsabile, ma anche attenta riflessiva, capace di essere coerente con quei principi e quei valori che le fanno da sponda per evitare che possa esondare. Ci sono stagioni nella vita delle persone che liberano con prepotenza una quantità imprevedibile di umori, sollecitazioni, impulsi, inclinazioni, stati d’animo.

Si tratta di manifestazioni di un carattere che porta con sé i vincoli di qualcosa di irrisolto che ricerca costantemente un equilibrio, passando attraverso momenti belli e momenti bui, in cui ogni legame con l’educazione scompare, come se un dio inverecondo l’avesse assorbita per lasciare l’umanità in uno stato di malessere permanente. Entrare ogni tanto dentro se stessi o cercare di scoprire il senso delle azioni potrebbe già essere un buon passo in avanti sulla via di una rivalutazione in chiave umana dell’esistenza e dei suoi perché. Osservare e riflettere potrebbero già essere due modi per provare a smuovere quel muro di malessere che alberga nell’individuo e che lo rende inspiegabilmente molto più simile a una creatura malvagia che a una persona capace di stabilire contatti positivi con le altre persone.

L’umanità è davvero molto strana, si sorprende e si protegge di fronte al normale corso della storia, per poi rimanere sorda e cieca di fronte alla maleducazione che alberga nelle case, nelle vie, nelle piazze, nelle decisioni di chi non sa cosa decidere, perché non ne ha la capacità. È molto strano vedere come il mondo di casa nostra sia davvero quello che crea disordine, paura, trepidazione, senso di smarrimento. In molti casi lo consideriamo un mondo di casa, familiarmente parte di una quotidianità che ci costringe ad essere anche quello che non vorremmo e cioè complici, individui che pur di non rompere il proprio equilibrio di potere sono disposti a sopportare l’insopportabile. Se ci fermiamo a riflettere anche solo per un momento e osserviamo la realtà che ci sta intorno ci renderemmo conto di quanto il nostro mondo o quello che solitamente consideriamo come nostro, sia in realtà qualcosa di vergognosamente ignobile, procacciatore di iniquità, protettore di comportamenti e di azioni che di umanamente nobile hanno ben poco, per non dire nulla.

Chi ha qualche anno sulle spalle e ha conosciuto molto bene il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, ricorda come l’aspetto educativo fosse una delle prerogative della società povera rispetto a quella dell’opulenza. Il povero aveva una profondissima dignità e la trasmetteva, sapeva dimostrare che i soldi non erano tutto. La povertà era un valore, il valore di chi faceva il proprio dovere fino in fondo senza lamentarsi, senza gettare inutili pesi sulle spalle di altri. Le famiglie povere erano in realtà la vera ricchezza del paese, quella che aveva dentro di sé la dignità necessaria per creare la svolta, per dimostrare che in molti casi la scuola più importante è la vita e che nulla è mai perduto, basta fare sempre il proprio dovere con onestà e fiducia.

Oggi di quella povertà che riciclava tutto e che guardava avanti nell’interesse della famiglia e del paese è rimasto molto poco se non nulla. La povertà di oggi è disordine morale, aggressività, violenza, creazione di una mentalità distruttiva e autodistruttiva. La povertà di oggi ha perso la sua dignità e così, invece di trovare soluzioni appropriate, si limita a eliminare sistematicamente quel poco che rimane per ricominciare. I poveri poveri esistono ancora? Se ne fa un gran parlare, ma nelle vie dei paesi si vedono giovani e giovanissimi che sfrecciano con fior di macchine truccate con le quali compiono evoluzioni, testa coda, frenate, sgommate, come se avessero tra le mani giocattoli appena comprati. La vecchia macchina, tanto cara a chi l’ha vista nascere, è diventata un’arma, un’arma da combattimento, un modo per affermare una personalità che non esiste, un modo per mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri, mentre in molti casi chi ha il compito di tutelare l’ordine gira la testa dall’altra parte o non fa tutto quello che dovrebbe fare per dimostrare che il mondo non è dei pazzi, ma di chi lo costruisce giorno per giorno con cura e dedizione. La povertà di oggi è proprio questa. Questa che si camuffa e si nasconde, che senza un motore tra le mani sarebbe nulla o meno di nulla, quella che poi si stupisce di fronte a dei poveretti che scappano dalla guerra per cercare una vita vivibile, capace di dare al loro cuore un briciolo di umanità.

Ci sono dei momenti in cui se passi in alcuni paesi ti rendi conto che la vita stessa è sistematicamente in pericolo, perché c’è chi, anche nelle vie più centrali e affollate, va sparato nei sensi unici o parte come un missile dopo aver tracannato alcol o e si lancia a tutta velocità sbandando. Eccoli i nostri geni, quelli che fanno parte del nostro parco esistenziale, quelli che si lamentano, quelli che parlano male degli altri per ché nessuno ha insegnato loro a guardarsi dentro e a scoprire dove si annida quel male che cerchiamo di mettere a nudo negli altri.

Un tempo la povertà stimolava, creava la vita, guardava avanti per migliorare, per dare un senso più vero e più compiuto all’esistenza, non si lamentava, lavorava, faceva il proprio dovere, cercava di dare un senso compiuto alla propria esistenza e a quella della comunità. Una povertà sana, senza grilli per la testa, ma con la voglia di sopravvivere e vivere dignitosamente, una povertà che sapeva rispettare, collaborare, amare, che si metteva in fila e che sapeva essere reattiva senza mai distruggere, senza mai oltrepassare la cortina del buon senso comune. Da un lato abbiamo costruito macchine belle, veloci, colorate, ce le possiamo permettere, ma abbiamo perso il valore del rispetto, abbiamo perso il valore della vita umana, trattiamo il nostro prossimo come se fosse un nemico da abbattere e non un fratello da rispettare e aiutare. Oggi la povertà è diventata aridità morale, mentale, negazione della verità e della bellezza, tutto serve e si consuma, tutto vale l’alba di un mattino e poi lo si butta. È crollata la figura umana, la persona, l’elemento chiave per ristabilire un’armonia esistenziale.

Vivere oggi è un’impresa, significa lottare contro una maleducazione senza confini che prende tutti, chi ha i soldi e chi non ce li ha, che viene distribuita sotto le finestre di casa senza che alcuno si accorga di nulla, perché l’omertà è sempre a due passi e in molti casi non abbiamo più il coraggio di difendere quel poco di bellezza che ci è rimasto. La verità è che di democrazia vera se ne vede poca di giorno e scompare definitivamente la sera, quando il buio protegge l’azione malvagia di chi ha bisogno dell’oscurità per portare a termine le proprie bravate. E nel frattempo il mondo dorme, non solo, se lo svegli ti risponde di lasciarlo dormire perché non vuole avere rogne.

Certo dall’Europa abbiamo sicuramente qualcosa di importante da imparare, qualcosa che si lega al senso civico, all’amore per la propria terra, al rispetto per le persone, alla bellezza come ordine e pulizia, al senso del dovere. D’Azeglio aveva capito tutto, si era reso conto che non sarebbe bastato mettere tutto a disposizione, ma bisognava insegnare alle persone a essere responsabili di quel tutto, di agire in modo virtuoso.

Oggi siamo ancora qui alle prese con macchine più belle, più rumorose, più colorate, ma stiamo perdendo l’umanità e così le strade che ci attendono sono sempre più piene di buche, dossi, sono sempre più sporche, sempre meno curate. L’improvvisazione si è sostituita alla pianificazione, si fanno le cose tanto per farle, ma senza in molti casi seguire un filo logico. La confusione è dentro di noi, la verità è che non siamo più capaci di capire chi sia veramente quella comunità nella quale abbiamo avuto la fortuna di nascere e di crescere, chi sia quel prossimo che cerca di farci aprire gli occhi, perché la nebbia è sempre più estesa e rende davvero più difficile capire chi siamo, cosa facciamo, che cosa dobbiamo fare per dare un senso compiuto alle parole che diciamo, ma alle quali dimentichiamo di aggiungere l’educazione come simbolo della nostra vita comunitaria.

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