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Politica

EUROPA NEL GUADO

GIUSEPPE ADAMOLI - 14/04/2017

bandieraUn fatto è certo, l’Europa è ormai diventata oggetto di discussione anche a livello popolare. Una volta noi italiani eravamo europeisti ma, più che altro, era un atto di fede nelle virtù altrui e nei vincoli che sarebbero derivati alla spesa pubblica in preoccupante espansione. I problemi reali passavano sulla nostra testa senza molta volontà di conoscerli e dibatterli.

Due sono stati i fatti che hanno modificato la positiva percezione dell’Europa. La grande crisi finanziaria di dieci anni fa, importata dagli Stati Uniti e mai definitivamente risolta, e la cosiddetta emergenza dei migranti che, oggi ci si accorge, non è un’emergenza ma un cambiamento strutturale che ci accompagnerà per alcuni decenni. Il libro del futuro europeo ha ancora molte pagine bianche ma sul passato alcuni punti fermi si possono già fissare. Mi focalizzo su due esempi che vengono spesso sottovalutati o strumentalizzati.

Il primo riguarda la voragine del debito pubblico italiano, la vera palla di piombo ai nostri piedi. Non dimentichiamo mai che dal 1970 al 1994 (inizio dell’Unione economica e monetaria) il debito era salito di più del 200% mentre dal 1994 al 2017 è cresciuto del 7%. Senza questo impressionante rallentamento del debito l’Italia sarebbe alla bancarotta.

Il secondo esempio riguarda l’apertura ai Paesi dell’Est. A molti di noi, me compreso, era apparsa affrettata e mal congegnata ma, se adesso osserviamo la ripresa di una certa volontà “imperiale” della Russia di Putin dopo la grande e irreversibile crisi sovietica, bisogna ammettere che, malgrado tutto, si è trattato di una svolta positiva sia pure da calibrare meglio.

Se in Francia vincerà l’europeista Emmanuel Macron e perderà Marine Le Pen, l’Ue si potrà rafforzare anche dopo l’uscita della Gran Bretagna mentre l’abbandono dell’euro resterà una follia minoritaria. Il cambiamento delle politiche dell’Unione dovrà tuttavia essere forte e senza tentennamenti. Semplificando, la questione dei migranti economici e dei rifugiati dovrà essere presa in carico dall’Europa. E dovrà esserci il progressivo spostamento dell’asse economico-finanziario dall’austerità verso lo sviluppo, il lavoro e l’occupazione sebbene i bilanci dovranno continuare ad essere tenuti sotto attento controllo. Ma in che modo potrebbe avvenire questa evoluzione?

Stando sul piano politico generale l’Europa a più velocità, già esistente, avrà un’accelerazione come già riconosciuto, due settimane fa, nel documento del sessantesimo anniversario europeo di Roma. Questa strategia toglierebbe dal tavolo l’impraticabile ipotesi del super-Stato europeo mentre l’Italia dovrebbe far parte del nucleo di testa più compatto e avanzato.

L’altro grande problema è l’insufficienza della rappresentatività democratica nell’Ue che non è un’invenzione ma purtroppo un dato reale. Il Parlamento, eletto a suffragio universale, ha aumentato i suoi poteri, approva la nomina del presidente della Commissione e il suo programma ma tutto ciò non basta. Il peso dell’influenza diretta dell’insieme dei cittadini europei è troppo basso, il peso dei governi nazionali troppo alto. Al termine dei Consigli europei, ciascun capo di Stato o di governo fa la propria conferenza stampa e parla quasi soltanto al proprio Paese, pensando al proprio elettorato e ai problemi di politica interna.

È necessario trasformare la Commissione in un vero governo europeo con compiti chiari in materia di economia e di politiche fiscali, di immigrazione e sicurezza, di politica estera, lasciando le altre importanti competenze alle sovranità nazionali. Correre verso un presidente europeo votato da tutti i cittadini è la prospettiva da perseguire con tenacia ma i tempi non sono certamente molto prossimi.

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