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Cultura

L’ITALIA CHE FU

MANIGLIO BOTTI - 14/04/2017

pansaUn altro appuntamento con Giampaolo Pansa, un altro incontro. Si tratta del suo ultimo libro “L’Italia non c’è più”, pubblicato lo scorso mese di marzo per i tipi di Rizzoli.

 È ormai quasi una consuetudine questa di ritrovarsi con uno dei giornalisti più completi – nel senso di bravi a trecentosessanta gradi – della seconda metà del Novecento, e oltre, oggi a riposo dal punto di vista della militanza in cronaca – Pansa quest’anno compirà 82 anni – ma sempre presenti con le proprie riflessioni sulla storia del nostro Paese, sulla vita, e infondo su noi stessi.

L’Italia sta cambiando: anzi, come dice Giampaolo Pansa, è già cambiata, addirittura forse non esiste più. Non esiste più quell’Italia piena di speranze, e per la quale forse non era proibito nessun traguardo, che abbiamo conosciuto noi da ragazzini – anni Cinquanta e inizi dei Sessanta – e che Pansa invece aveva potuto vedere da studente, da giovanotto e da cronista alle prime armi, dopo la miseria nera e dopo il terrore della guerra. Ed è un’Italia cambiata in peggio, purtroppo. Anche in questo libro Pansa si apre al pessimismo, come in uno precedente, di cinque o sei anni fa, dal titolo inequivocabilmente significativo: “Eravamo poveri, torneremo poveri”.

E forse, chi lo sa, ci sono molte buone ragioni a pensarla in questo modo. L’aria che tira non è buona. E per scrollarsi di dosso la fuliggine che ogni giorno, in qualche modo, ci ricopre bisognerebbe davvero darsi da fare, e cambiare registro. A meno che – e Pansa probabilmente crede che sia così – lo scivolamento prima e poi la caduta nel baratro siano ormai irrimediabili.

 Anche in questo, come è già avvenuto in altri libri dello stesso autore scritti nel passato, Giampaolo Pansa per raccontare ciò che è accaduto fa ricorso a un espediente letterario, cioè affida a un altro sé stesso la “responsabilità” della narrazione, affiancato – nel caso in questione – da una giovane ragazza, Carlotta, figlia di un amico, cui il giornalista Paolo – Giampaolo Pansa – consegna le proprie memorie.

Potremmo dire, dopo avere letto i libri del giornalista di Casale Monferrato, e averne seguito la storia professionale passata attraverso i più importanti giornali italiani – dalla Stampa di Torino, al Giorno, al Corriere, a Repubblica –, che molte cose sono già state dette o accennate. Ma non sarebbe nemmeno vero. Pansa ha questa capacità di ripresentare fatti già raccontati caratterizzandone meglio il significato, come l’operatore di una macchina fotografica o di una cinepresa che utilizza lo zoom per farci vedere meglio – e soprattutto – farci capire certi episodi della storia e della vita.

Partiamo, dunque, da Mussolini, passando ad alcune avventure dell’infanzia e della giovinezza del giornalista Paolo-Giampaolo,  per arrivare ai giorni dell’aprile ’45, e dunque ai primissimi anni del dopoguerra, alle prime esperienze giornalistiche del nostro autore-raccontatore – per esempio la tragedia del Vajont –, agli anni un tempo fecondi e poi torbidi della Balena bianca e dell’Elefante rosso – la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano –, sempre così magistralmente scandagliati e narrati…

Ma stavolta, come non è stato in altri libri precedenti, l’angolo di visione è come dire più personale, nascosto. C’è il sesso, ci sono storie e passioni – mai inesorabilmente coinvolgenti però – a determinare il ciclo del tempo che passa… Le amicizie, le inimicizie, il sesso, gli amori – anche estemporanei – visti quasi come un centro-motore della vita quotidiana. L’Italia, sempre sullo sfondo, dunque, si dipana e si racconta, come una grande cittadina di provincia, che prima è Casale Monferrato poi Belluno, poi ancora Milano, Roma, i luoghi toccati e vissuti del giornalista Paolo-Giampaolo… Perché la provincia è un “universo-mondo” dove gli uomini, e le donne, giocano la loro partita.

Una partita perduta in partenza? “Non è più una faccenda che mi riguardi”, scrive Pansa nel prologo al suo libro. “A farci i conti saranno gli italiani più giovani di me. Sono loro a essere in pericolo, non io…”.

Può darsi che sia vero: Giampaolo Pansa è pessimista. O forse no, chi lo sa. L’Italia-provincia ha mille storie, e mille vite.

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