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Società

DIGNITÀ DELLA PERSONA

LIVIO GHIRINGHELLI - 18/02/2012

Giustamente il Concilio Vaticano II (Cost.Past. Gaudium et spes, 12 – 1965), riferendosi al fatto che ogni persona è stata creata a immagine di Dio (Genesi 1,27), ne afferma la dignità inalienabile: la creatura è stata posta al centro e al vertice del creato; detta somiglianza implica che l’essenza e l’esistenza dell’uomo sono costitutivamente messe in relazione a Dio nel modo più profondo. È una relazione, che anche se misconosciuta non si può ignorare. Così l’uomo diventa capace di Dio e da questa relazione trae senso. È una relazione che non si esaurisce in se stessa, perché fa anche dell’uomo per sua intima natura un essere sociale, che non può vivere né esplicare le sue doti se non in rapporto con gli altri. E il primo dialogo interpersonale si sviluppa con l’apparizione della donna, data l’insoddisfazione di Adamo di trovare riferimento nel solo mondo vegetale e animale. Nel rapporto di comunione reciproca uomo e donna realizzano profondamente se stessi, donandosi sinceramente (Centesimus annus 41).

Al contempo l’uomo è unità di anima e di corpo e in questa unità diventa il soggetto dei propri atti morali, unificando grazie alla sua corporeità gli elementi del mondo materiale e superando colla sua spiritualità la totalità delle cose (in virtù di questa spiritualità penetra nella struttura più profonda della realtà) e si apre alla trascendenza ; sente di non doversi considerare una semplice particella della natura, un essere perso nell’anonimità. Così il corpo risulta essenziale per divenire persone integrate e attraverso di esso ci rapportiamo agli altri e a Dio. La persona umana è incarnata. Nell’incarnazione Cristo si è unito ad ogni uomo. Il corpo non è un semplice accessorio o abitacolo. Non deve quindi essere oggetto di disprezzo secondo un vacuo spiritualismo, così come va respinta la concezione materialistica, che umilia lo spirito a mera manifestazione della materia. Mentre l’uomo si apre all’infinito e a tutti gli esseri creati, nella sua unicità e irripetibilità si autocomprende e si autodetermina, divenendo in quanto soggettività centro di coscienza e di libertà.

Nel discendono come corollari il diritto alla vita dal concepimento all’esito naturale (Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium Vitae, 2 –1995), la denuncia della tortura, delle mutilazioni, della prostituzione, il diritto ad ambienti di lavoro e a processi produttivi, che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori (Giovanni Paolo II, Enc. Laborem exercens 19 – 1981). Vanno parimenti osservati i limiti e le potenzialità delle nostre capacità biologiche (v. il caso delle droghe), la responsabilità di assicurare un mondo abitabile (v. Enc. Caritas in veritate ,cap. 48, 50, 51: “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale … I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri”.

Non si può ammettere alcuna strumentalizzazione della persona umana per fini che risultino estranei al suo sviluppo. Né può essere finalizzata a progetti di carattere sociale e politico imposti dall’autorità, mentre l’esercizio della libertà esige il riferimento a una legge morale naturale di carattere universale, che perciò coinvolge tutti gli uomini a prescindere dalla diversità delle culture. Sostanzialmente la legge naturale è legge di Dio. Grazie all’incarnazione del Figlio di Dio tutti gli uomini hanno uguale dignità , in un contesto di crescita comune e personale di tutti, cosa che vale anche nei rapporti tra popoli e Stati in sede internazionale.

Anche le persone in condizione di handicap godono della stessa titolarità di diritti e di doveri (hanno bisogno d’amare e di essere amati, di tenerezza, di vicinanza, di intimità) ed è posta in rilievo l’opzione o amore preferenziale per i poveri, di cui all’Enciclica Sollicitudo rei socialis, n.42 (1987) di Giovanni Paolo II. Bisogna soccorrerli nelle tante forme di povertà materiale, ma anche culturale: si tratta di carità fraterna e al contempo di giustizia.

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