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Politica

PENSARE BENE

EDOARDO ZIN - 21/04/2017

elezioniÈ bello, piacevole scoprire a Parigi un’oasi di quiete (sono rare) e ogni tanto andarci, allontanandosi dalle strade rumorose, tuffandovisi come in un lago tiepido e tranquillo. Arrivo a place Palais – Bourbon – sede dell’Assemblea Nazionale – verso mezzogiorno, dopo una distensione per lo spirito nei giardini del vicino museo Rodin. L’appuntamento è in una tipica brasserie, dove i camerieri col lungo grembiulone bianco vanno e vengono da un tavolo all’altro destreggiandosi come giocolieri con i vassoi in mano. Entro e trovo un caldo rifugio che mi ripara da una giornata d’inizio marzo ventosa e gonfia di luci.

Sono capitato lì dove mi attende Eric, un amico che conosco da più di quarant’anni, quand’era sindaco di un grazioso paese dell’Alsazia. Ora è deputato all’Assemblea Nazionale. Anche se non condividiamo lo stesso luogo perché il corso della vita ci ha domandato esperienze in posti differenti, condividiamo un sodalizio esemplare, pur considerandoci dissimili per le scelte fatte e sofferte: siamo tutti e due europeisti convinti; io – ho il pudore di dirlo – sono credente in Cristo, lui non ha dialogo con il Cielo, ma è rispettoso, in genere freddo e indifferente, anche per chi nella chiesa lotta contro tutte le ingiustizie, proprio come lui che ha fatto della sua vita un impegno per combattere con la politica tutte le disuguaglianze.

Ci sediamo a tavola: l’ormai classico steak grillé e pommes frites. Eric è inappagato per questa Europa dove i governi trasformano l’Unione Europea in un’officina di riciclaggio per un sottosegretario incompetente che diventa eurodeputato. Per uno come lui, che ha un antico sentimento per la costruzione europea e un profondo legame con l’Europa, sono i tecnocrati di Bruxelles che minacciano le conquiste raggiunte minacciando gli Stati proponendo la recessione con il suo corteo di austerità come soluzione ai debiti e ai deficit pubblici, provocando così l’esplosione della disoccupazione. Lascio che si sfoghi e l’ascolto attentamente. Le lagnanze continuano: “Noi politici non sappiamo più che cosa affrontare e in che modo. Nel frattempo, la gente non comprende più a che cosa serva questa Europa che ci dona la pace in tempo di guerra e la crisi in tempo di pace”. S’infervora ancora di più e denuncia la mancanza di un vero progetto voluto e condiviso, e non subito, dal popolo, l’assenza di un autentico coordinamento delle politiche economiche che cancelli il groviglio delle regole che non si sa a chi siano imposte e da chi.

So che Eric condanna “questa” Europa, ma che la sua fede europeistica è intatta, ferma come una roccia. Non per piaggeria, ma per convinzione gli dico che se c’è un paese che ha espresso ultimamente dei competenti politici questo è la Francia: gli faccio il nome di Michel Barnier e di Moscovici, gli placo il furore ricordandogli altri momenti grevi di preoccupazioni per l’Europa, che la pace è un bene prezioso, che anche la moneta unica è un elemento che può farci sentire a casa in tutta l’eurozona e che anch’essa può avere un’anima perché senza di essa non avremmo pane sulla tavola delle famiglie, né scuola per i nostri figli e che può essere un necessario coefficiente di unione…Concordo con lui che l’Unione è bloccata dall’elefantiasi burocratica, da iniziative più rappresentative che sostanziali, da un ingiurioso sperpero di energie, da una riluttanza a prendere iniziative davvero comuni, dalle conseguenze non sempre efficaci di un allargamento forse troppo precipitoso e soprattutto da un vero stato europeo, federale e decentrato, ma organico nelle sue leggi.

Il deputato amico mi risponde con sarcasmo : “Mentre tu dici queste cose, a Bruxelles e a Roma stanno preparando “la grande parade” per i sessanta anni dei Trattati di Roma e dopo che sarà caduto lo scenario, tutto tornerà come prima”. Lo interrompo: “Condivido la tua preoccupazione. Temo anch’io che a Roma si limiteranno a firmare una dichiarazione di intenti, ma i compleanni vanno festeggiati soprattutto se servono per ritrovarsi tutti assieme. Ormai in tutta Europa stanno aumentando i populismi. Tu sai che io sono del parere che se la protesta popolare contro l’Europa aumentasse ancor di più qui in Francia o in Germania, l’Europa entrerebbe in agonia. Le prossime celebrazioni romane potrebbero essere più che il suo viatico, il suo rilancio”.

Eric approfitta del mio accenno sulla Francia per delinearmi la situazione pre-elettorale francese che è molto indefinibile. Fillon punta su tre ceti: la destra tradizionale, che incarna i valori repubblicani, la destra cattolica moderata (si è presentato come fervente cattolico, padre di sei figli) e cerca soprattutto di allargare la base sociale: la destra tradizionale si sta sfrangiando a causa dell’impiego artificioso della moglie; i vescovi più moderati non hanno apprezzato la sua ostentazione a fini elettorali della sua fede e soprattutto il discorso che ha tenuto a Solesmes, vicino alla celebre abbazia benedettina; la base sociale non si lascia incantare dai suoi consiglieri che gli organizzano la campagna e dagli esperti di comunicazione che lucidano la sua immagine. La mia sinistra si sta leccando ancora le ferite dopo la disastrosa presidenza di Hollande e il suo candidato Benoit Hamon è piuttosto debole.

L’uomo nuovo è Emmanuel Macron, già consigliere economico di Hollande, che sa unire ad una grande competenza economica una profonda cultura umanistica: è stato assistente di Paul Ricoeur – il filosofo che tu spesso citi – ed è un valente pianista. È di Amiens, ha frequentato anche lui l’ENA, è un europeista per convinzione e non per convenienza. Il suo programma è vasto: dalla flessibilità del lavoro (vorrebbe portare a 35 le ore settimanali di lavoro), al taglio di 120.000 incarichi pubblici, dall’alleggerimento fiscale per le imprese alla lotta alla disoccupazione tramite corsi di formazione, dagli incentivi per la rottamazione dei vecchi veicoli al divieto per gli allievi di tenere i cellulari a scuola… Degna di nota è la sua politica industriale di nuova generazione di cui la Francia ha bisogno. È giovane ed ha il sostegno di Manuel Vals e Francois Bayrot.

Le due ali estreme – quella destra di Marine Le Pen e quella sinistra di Jean-Luc Mélenchon – sono antieuropeiste. La Le Pen ammicca ai cattolici ultra-conservatori (ha annunciato che, se sarà eletta, consacrerà la Francia ai SS. Nomi di Gesù e di Maria!) e ha attenuato il suo razzismo verso gli emigranti. Mélenchon cerca di sottrarre voti al PSF. Penso che al ballottaggio vadano Marine Le Pen e Emmanuel Macron.

Fin qui il colloquio con l’amico ex-sindaco. Ci siamo lasciati con l’impegno di sentirci la sera del 23 aprile. Rientrando in albergo, passo per place des Vosges e alzo lo sguardo verso la casa in cui abitò Victor Hugo. Egli invitava i francesi del suo tempo a detestare la battuta che strappa l’applauso o a dire ciò che il popolo s’attende. Ieri sono passato davanti all’ospizio dei Poveri dove Blaise Pascal volle morire in mezzo ai più derelitti. Egli invitava non a “ben pensare”, ma a “pensare bene”. Speriamo che i francesi domenica prossima sappiano mettere in pratica il monito di due pensatori che hanno fatto grande la Francia.

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