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Cultura

LA SVOLTA DI HEIDEGGER

LIVIO GHIRINGHELLI - 21/04/2017

heideggerDopo Essere e tempo Heidegger è chiamato nel 1928 a succedere a Husserl alla cattedra di Friburgo e l’anno successivo pubblica Che cos’è la metafisica (prolusione ufficiale alla docenza: il nulla e l’angoscia in relazione alla questione dell’essere), Kant e il problema della metafisica, L’essenza del fondamento.

Nel 1933 è nominato rettore anche in virtù della sua adesione al nazismo, sia pure temporanea. Per dissensi col governo è costretto a lasciare la carica nel 1934. Nel 1944 gli è vietato dagli Alleati di continuare l’attività didattica per la collusione col regime. Del 1947 è la Lettera sull’umanismo, del 1950 Sentieri interrotti. Riprende ufficialmente l’insegnamento nel 1952. Nel 1954 pubblica i Saggi e discorsi. Nel 1955 si ritira a Todnauberg nella Foresta Nera, proseguendo i suoi studi. Nel 1959 pubblica In cammino verso il linguaggio, nel 1961 Nietzsche, nel 1967 Segnavia. Si spegne a Messkirch nel 1976.

Comincia a maturare dall’inizio degli anni Trenta quella che nella Lettera sull’umanismo definirà come una svolta. Questa sorta di rovescio (Kehre) di prospettiva investe l’essere e la sua verità in rapporto all’uomo e non tanto l’uomo nel suo rapporto con l’essere. L’essere conosce nella storia del pensiero occidentale una sorta di oblio, responsabile del nichilismo sempre più dilagante, che non consiste in nient’altro che in una promozione dell’ente nella dimenticanza dell’essere. Il problema della metafisica, la rimozione della differenza ontologica tra l’essere e l’ente è l’oggetto proprio della riflessione heideggeriana dopo Essere e tempo. La tradizione metafisica ha dimenticato la questione della verità dell’essere. L’esserci va reinterpretato come il luogo di apertura di questa verità, della “radura dell’essere”. L’apparire della cosa, che noi asseriamo vera, “si attua entro un aperto”, la cui apertura non è creata dal rappresentare.

È questo aperto il luogo proprio della verità. Ora libertà è “il lasciar-essere l’ente” e la verità è dis-velamento o svelatezza, alétheia, un venire alla presenza che si schiude da parte dell’ente in totalità. Una conseguenza è data dal particolare rapporto che vige tra l’uomo e l’essere inteso come lo stare esposti nell’aperto del disvelamento; l’altra è nel custodire la verità da parte della libertà dell’esserci, cioè soprattutto nel lasciare nel nascondimento, nella velatezza, l’ente in totalità, cioè l’essere stesso. La verità non coincide mai solo con il manifestarsi delle cose, ma anche con il manifestarsi di un non-manifestabile, non nel senso che passi dal velamento allo svelamento, ma nel senso che si disvela proprio in quanto velato. In Contributi alla filosofia, redatto tra il 1936 e il 1938, Heidegger concepisce l’essere non più come presenza dell’ente, ma come un evento che si sottrae a tale presenza e anche alla comprensione che può averne l’uomo; il pensiero scopre che gli enti sono stati abbandonati dall’essere e che grazie a questo abbandono si può imporre il dominio degli enti, la riduzione del mondo a calcolabilità, macchinazione, organizzazione tecnica, mentre il rovescio sta nell’imporsi della cultura, dell’antropologia e dei valori come schemi di occultamento della verità.

La verità nascosta dell’essere sta nel ritrarsi rispetto all’ente, non in un luogo sottratto alla nostra vista, da riconquistare. L’essere è nel sottrarsi. L’esserci non è più pensato come l’ente comprendente e progettante l’essere, ma come la radura, il luogo del nascondimento dell’essere. E non si potrà mai fuoriuscire dal suo oblio, oblio che custodisce l’essere come ritrarsi continuo.

Il tratto essenziale della nostra epoca consiste nel carattere metafisico, il suo destino nella tecnica, intesa come compimento della metafisica quale nichilismo. La nostra epoca è detta della tecnica in virtù di una organizzazione sempre più pianificata del mondo, strumento di una manipolazione calcolata della realtà naturale e di quella culturale e sociale da parte dell’uomo. La tecnica è un modo di disvelamento della verità dell’essere. Questo modo di disvelare non consiste semplicemente nel produrre le cose, piuttosto “provoca” l’uomo a istituire un rapporto cogli enti identificando il loro svelamento con l’utilizzo che se ne può fare come materiale d’uso, riserva da sfruttare, fondo accumulato per l’impiego. Attività, progetti, macchinazioni sono un appello dell’essere, pericoloso perché l’umanità occidentale sembra essersi totalmente dispersa nella frenesia della tecnica, non ritrovando più la sua essenza; per altro canto proprio in questa imposizione si manifesta che l’oblio dell’essere costituisce un modo originario del suo disvelarsi. Il disvelamento è una provocazione che pretende dalla natura, che essa fornisca energia; la liberazione delle energie conduce al loro immagazzinamento in vista della futura utilizzazione. Non c’è nulla di demoniaco nella tecnica; c’è bensì il mistero della sua essenza.

La nostra epoca è intesa da Heidegger come essenza del nichilismo: uno è quello descritto e canonizzato da Nietzsche come svalutazione di tutti i valori; ma anche i nuovi valori posti dalla volontà di potenza rimangono essenzialmente metafisici. L’essenza del nichilismo è la sottrazione dell’essere. Una volta avviato il processo di dimenticanza dell’essere l’uomo si pone come principio di tutte le cose.

La presunta centralità dell’umano è definita nel momento, in cui la sua essenza viene indicata a partire dalla sua natura animale. L’uomo si rivela rispetto a tutti gli altri esseri viventi differente in quanto capace di linguaggio e di pensiero, ma questi ultimi sono compresi come semplici strumenti di una vita animale, quella umana, che per tale particolare strumentazione si qualifica come razionale. L’uomo è così pensato antropologicamente sulla base dell’animalitas come un ente tra gli enti e non dell’humanitas, la cui essenza è costituita dalla rivendicazione dell’essere, perché si rapporta all’essere.

Se il linguaggio della metafisica è inadeguato, la poesia per Heidegger, che interloquisce con Hölderlin, è il modello di un linguaggio non oggettivante, non ridotto a semplice strumento di informazione. Il linguaggio che l’uomo si trova a parlare in quanto gettato in un contesto storico disegna gli schemi che rendono possibile l’esperienza delle cose, l’incontro con l’essere degli enti.

 È il linguaggio a disporre dell’uomo. “L’uomo parla solo in quanto risponde al linguaggio”. In un testo del 1959, In cammino verso il linguaggio, Heidegger precisa che non è un semplice strumento, in quanto dischiude mondi, non quello quotidiano, che nomina l’essente in funzione del suo uso, quanto quello poetico, che non si colloca nell’apertura, ma la apre. È il luogo in cui l’essere si dà, in cui si dischiude il rapporto fondamentale, originario, che lega l’uomo all’essere. Quanto all’opera d’arte va detto che la verità dell’ente si è posta in opera. Vi si dà un disvelamento dell’essere, dell’essente privo di strumentalità. Qui non si realizza il commercio con la cosa, ma ci si apre a essa per sentire il suo richiedere. Siamo così fuori da un mondo tecnicizzato.

L’essenza bifronte della tecnica moderna nell’ultimo Heidegger rappresenta il preludio dell’Ereignis (letteralmente evento), che si colloca oltre l’essere stesso; non si può dirne né che è (come l’ente), né che si dà(come l’essere), ma solo che “si eventua”.

Quanto al rapporto con Sartre, che in L’esistenzialismo è un umanismo (1946) presenta la propria filosofia in una forma più positiva come dottrina dell’azione e dell’impegno, Heidegger scrivendo nel 1947 la Lettera sull’umanismo dichiara che l’esistenzialismo è una forma del soggettivismo antropocentrico, che si tratta invece di oltrepassare in direzione di un pensiero dell’essere.

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