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Opinioni

COME PUÒ CAMBIARE L’UE

LIVIO GHIRINGHELLI - 27/04/2017

trattatiLo scorso 25 marzo l’Unione Europea ha riunito i suoi rappresentanti per celebrare il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma e al contempo per un rilancio del progetto di fondazione in tempi di grave crisi dell’istituzione, messa seriamente in pericolo dal susseguirsi di avvenimenti quali l’affermazione della Brexit (con il 51,5 %dei votanti) in Inghilterra, preludio di un sicuro distacco, l’elezione di un conservatore-reazionario, chiuso a ogni prospettiva sociale negli Usa, quale è Trump, il propagarsi dell’euroscetticismo all’interno dell’Unione.

 Siamo ben lontani dallo spirito di solidarietà e di pace che ispirò i fondatori, pur essendo stato riconosciuto nel 2012 il Nobel per la pace all’Unione. La crisi economica che nel contesto globale si è avventata sul continente dal 2008, provocando disoccupazione di massa e l’allarmante crescita delle disuguaglianze, la crisi umanitaria provocata dai conflitti endemici del Medio Oriente con un imponente e inarrestabile esodo di profughi, con tutte le preoccupanti falle nella politica europea d’asilo, il terrorismo coi ripetuti attentati in Francia, Belgio, Germania e il generale senso di insicurezza, il bisogno sentito e diffuso, anche se illusorio, di ritorno alle sovranità nazionali, il populismo che disintegra la democrazia, l’individualismo sfrenato che infetta la società e ne corrompe le dinamiche, frammentandone le articolazioni, ecco solo alcuni dei fenomeni che incrinano la fiducia dei 28 Paesi associati.

Non si possono scordare né sottovalutare i benefici che ai vari Paesi ha apportato. Per esempio il mercato comune col suo ruolo centrale (si era partiti colla proposta della Ceca, Comunità economica europea del carbone e dell’acciaio, da parte di Robert Schuman, discorso del 9 maggio 1950), ma le generose prospettive di una federazione economica e politica da subito trovarono smentita sul lato della difesa comune (Ced) a causa della battuta d’arresto provocata dal nazionalismo francese.

S’aggiunga che l’allargamento troppo rapido degli ingressi nell’Unione, dai sei Paesi iniziali a quelli che costituiscono l’attuale compagine,è risultato francamente eccessivo nel suo sviluppo, specie dopo la caduta del regime comunista nell’Unione Sovietica e nei Paesi egemonizzati.

Gli Stati vassalli hanno aderito all’Unione, più che in base ad un progetto politico, attenti soprattutto, se non esclusivamente, alla ricerca e ottenimento di vantaggi economici e in tale direzione minacciano e ricattano anche al momento l’organismo comunitario. Ne è derivato un insieme piuttosto disomogeneo. Un Trattato di Costituzione per l’Europa poi firmato nel 2004 è stato abbandonato in seguito alle bocciature dei referendum d’Olanda e Francia.

Sul versante opposto significativi sono stati invece l’introduzione dell’ecu (European Currency United), antenato dell’euro da parte del Consiglio Europeo nel 1979, le prime consultazioni a suffragio universale dell’Europarlamento nello stesso anno, il Trattato di Maastricht nel 1992 con l’adozione della moneta unica, gli accordi di Schengen nel 1995 per la libera circolazione delle persone, stretti tra cinque Paesi (l’Italia ha aderito solo nel 1997), la nascita della Bce nel 1998, il Trattato di Nizza nel 2001 con l’allargamento a Est, l’arrivo dell’euro nel 2002 (moneta unica in 11 Paesi), il Trattato di Lisbona, che recepisce i dettami principali della Costituzione.

Questi i termini: limitazione dei Commissari a tredici, adozione delle misure con il 60% dei voti dei Paesi rappresentati e almeno il 45% degli Stati membri, referendum entro il 2005.

Di fronte ai pericoli di dissoluzione nel vertice di Malta del 3 febbraio 2017 la Cancelliera Merkel ha proposto in alcuni settori possibili forme di cooperazione rafforzata, purché aperte a tutti gli Stati membri interessati, a promozione di politiche attente alle necessità dei cittadini e del bene comune e a creazione di identità in termini di progetti politici, secondo un principio di sussidiarietà e in un clima di fiducia reciproca.

Convergendo in comune su alcuni nodi cruciali, pur conservando livelli e forme di cooperazione differenziata, si può pervenire a concordanza nella visione politica e valoriale, garantendo comunque pluralità culturale e sociale.

Si impongono i temi dell’occupazione, della crescita, dello sviluppo sostenibile, dell’innovazione digitale, della sicurezza e soprattutto della crisi dei migranti e nell’ordine bisogna armonizzare le imposte sul reddito, sul lavoro, sul patrimonio, mettere in comune il debito con la mutualizzazione, concertare un meccanismo di solidarietà finanziaria per i Paesi più deboli nella zona euro, assimilare il mercato del lavoro, l’età pensionistica col sistema di welfare a sostegno della disoccupazione, puntando a un’Europa solidale dal punto di vista economico, del lavoro, del debito. E parimenti è da tonificare il diritto di autodeterminazione delle persone.

Per quanto concerne il nostro rapporto deficit/Pil è stata richiesta a Gentiloni una manovra bis di 3,4 miliardi circa, pena una procedura di infrazione; ma è da tener presente che in termini di vincoli anche la Germania ha sforato due volte il 3% stabilito. Solo Estonia, Lussemburgo e Svezia al momento hanno i conti in ordine. Aperture a favore di una politica di riforme e di solidarietà sociale si sono manifestate da parte di Jean Claude Juncker, presidente della Commissione, di Donald Tusk, polacco, presidente del Consiglio europeo (in contrasto colla politica conservatrice del suo Paese) e del socialdemocratico Schulz, già presidente del Parlamento.

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