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Politica

VIS-À-VIS

GIUSEPPE ADAMOLI - 11/05/2017

renzi-macronLa differenza del sistema istituzionale e politico fra Italia e Francia rende difficile mettere a confronto Renzi e Macron ma qualcosa di più maturo si può dire dopo gli eccessi entusiastici o polemici a poche ore “dall’incoronazione” del Presidente francese.

Le possibili analogie non riguardano certamente gli studi, la carriera professionale, la “gavetta” nelle amministrazioni territoriali e nei partiti. In estrema sintesi è ragionevole assumere che Renzi è un politico e Macron è più un tecnico. Ma può essere considerato un tecnico una personalità che fonda un partito politico di tale successo?

È corretto affermare che Macron aveva valutato con molto interesse l’esperienza di Renzi (riconoscendolo lui stesso) ma poi ha scelto una strada diversa. Renzi, dopo una prima sconfitta alle primarie contro Bersani, era rimasto nel partito e vinto le primarie nel 2013 e poi le ha rivinte qualche settimana fa. Ha manifestato più fiducia nel Pd di quanto ne abbia dimostrata il francese nel partito socialista. Renzi ha “rottamato” (tentato di rottamare) parte della vecchia classe dirigente, Macron ha praticamente rottamato il partito che lo aveva nominato ministro.

Il partito di Macron è di Macron e vedremo come riuscirà a costituire la struttura politica territoriale indispensabile per guidare le città, le tantissime Istituzioni repubblicane e alimentare nel tempo che scorre il necessario consenso. Il suo vero punto di forza, rispetto a noi, è che per cinque anni è irremovibile. Chi chiama PDR (Partito Di Renzi) il Pd ne fa invece una caricatura. Entrambi hanno però ben capito l’importanza della leadership pragmatica nel vuoto delle dominanti ideologie preesistenti.

Si può aggiungere che l’analisi di Macron è molto più spietata di quella di Renzi sulla condizione della sinistra europea, oggi ai minimi termini. Quando Renzi ha portato il Pd nel Partito socialista europeo non ero molto entusiasta ma avevo accettato l’idea credendo all’ambizione di entrare in quella casa per contribuire alla sua ristrutturazione.

C’è bisogno di correre verso partiti autenticamente europei che abbiano una grande volontà riformatrice che investa le culture, le liturgie, i modi di essere e di apparire. Mélenchon è uno dei simboli della crisi a sinistra. Quando decide di non decidere fra Le Pen e Macron e descrive pregiudizialmente Macron come il più deplorevole presidente della Quinta Repubblica francese è già fuori di quello che si può definire il riformismo europeo di governo.

L’analogia più forte fra Renzi e Macron sta nell’attaccamento per l’Europa. Ma qui devo dire con chiarezza, a differenza di molti, che apprezzo di più la posizione italiana. Serve un’Europa molto più sociale e attenta ai ceti deboli, meno soggetta al volere della Germania. Si sente, a questo proposito, la potente influenza dell’establishment su Macron.

Inevitabile che i francesi cerchino di ristabilire e rafforzare l’asse franco-tedesco ma l’Italia, purché faccia le necessarie riforme interne, deve e può giocare un ruolo di primo piano nell’interesse dell’intera Europa.

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