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Presente storico

GLI INVASORI

ENZO R. LAFORGIA - 11/05/2017

emigratiLouis Bertrand è stato uno scrittore francese. È nato nel 1866 ed è morto nel 1941. Non so quanto sia stato celebre né so se a qualcuno, ancora oggi, capiti di frequentare i suoi libri o se il suo nome dica qualcosa. Tra gli appunti raccolti nei miei faldoni è spuntata fuori di recente una scheda proprio su Louis Bertrand. Costui, dopo aver insegnato per un po’ di anni (dei quali una decina in un liceo algerino), decise di dedicarsi interamente all’attività di scrittore. Fu anche uno dei collaboratori della popolare «Revue des deux mondes». Nel 1907 diede alle stampe il suo quarto romanzo, dal titolo L’invasione. L’invasione che racconta è quella della Francia ad opera della enorme massa di migranti. Sono stranieri, che, approdati a Marsiglia dai diversi porti del Mediterraneo, rappresentano un elemento di disordine e pericolo sociale e politico (c’è il rischio, infatti, che con loro sbarchino sul suolo francese anche idee sovversive e che si insinui, nella classe operaia, l’odio per la borghesia proprietaria e possidente).

La trama è semplice: una donna e i suoi figli si recano a Marsiglia, dove già è emigrato il rispettivo marito e padre. L’uomo non si fa trovare e la donna si trasferisce in un quartiere operaio, dove stringe amicizia con un lavoratore, che acquisterà coscienza della propria condizione nel corso della storia. Il marito atteso raggiungerà sua moglie tempo dopo, svelando la sua natura violenta. Sullo sfondo, nell’ambiente malsano e degradato frequentato dai protagonisti, si agitano criminali comuni, anarchici e sovversivi. La tragedia, che inevitabilmente conclude la vicenda, si consuma in occasione di uno sciopero generale.

In questo romanzo, i migranti giungono dal mare. Non su barconi che a stento stanno a galla né su vecchi gommoni. Viaggiano su imbarcazioni comode e attrezzate, dove tutte le classi sociali si incontrano. Certo, i migranti sono stipati ai livelli più bassi. Appaiono trasandati, si riconosce la loro provenienza dal modo in cui sono vestiti; alcuni di loro incutono paura, perché sembrano portati naturalmente all’esercizio della violenza. Non tutti sono ignoranti e sprovveduti. La protagonista, ad esempio, è una maestra. Ma la miseria la spinge a raggiungere il marito, che lavora in miniera.

A Marsiglia, la protagonista di questa storia troverà alloggio in un quartiere e in un casamento popolati quasi esclusivamente da migranti. Una di quelle sacche di disagio sociale e sofferenza umana, un luogo sordido, sporco, che spesso scopriamo anche nelle nostre città. «Sordide» sono le strade, «dove i piedi restano incollati in una fanghiglia appiccicosa»; le case sono «tuguri volgari e decrepiti», con le pareti «sporche di fuliggine e chiazzate di umidità oleosa»; il quartiere è un’esposizione «di miseria e sporcizia»; tutto è avvolto dall’odore pungente e fastidioso e volgare che proviene dalle cucine. Chi abita in questi luoghi è ugualmente sporco e volgare, parla a voce alta, spesso canta quando non mette mano al coltello. È gente rissosa, con una pericolosa predisposizione al consumo di alcool.

Sono italiani. Perché gli invasori di cui si parla in questo romanzo, sono italiani. Piemontesi, in prevalenza.

Del resto, poco più di un decennio prima, nel 1893, gli italiani erano stati fatti oggetto dell’odio violento dei francesi. Verso la metà di agosto, ad Aigues Mortes, si era scatenata una vera e propria caccia all’uomo, che provocò la morte di un numero imprecisato di italiani:

«[…] La caccia durò il mercoledì ed il giovedì [16 e 17 agosto]. Centocinquanta, sorpresi sul lavoro ed assediati in una capanna, furono forzati a rientrare in città; durante il tragitto furono feriti e gittati in canale dove 20 o 30 morirono, i più, sbandatisi, furono inseguiti per le campagne; 40 soli si ridussero in città, sempre accompagnati da una folla ubbriaca. Furono chiusi in un torrione e quivi assediati. Altri 150 che si trovavano in città furono del pari assaliti. Dei fuggenti 38 si rinchiusero in una bottega da fornaio ove furono tenuti assediati trenta ore. […] Sulle mura della città si leggeva: Morte agli italiani. Facciamone salsicce.»

Così si legge sulla «Cronaca Prealpina» di Varese, il 20 agosto di quell’anno.

A Varese, la notizia suscitò un’ondata di emozione e di sdegno. Il centro cittadino vide il formarsi di cortei spontanei; dai locali pubblici vennero prelevati i giornali francesi e dati alle fiamme per strada; le signore della borghesia cittadina decisero di non acquistare più prodotti di bellezza francesi. Il 24 agosto, fu anche organizzata una serata di beneficenza al Politeama «Ranscett», il cui ricavato fu devoluto alle famiglie degli operai italiani morti e feriti ad Aigues Mortes.

Erano i tempi, del resto, che anche da Varese e dal Varesotto si emigrava. Ed in tale misura, che la Società «Dante Alighieri» varesina diede alle stampe un Manuale ad uso dell’Emigrante varesino (presso la Biblioteca civica se ne conserva una terza edizione).

Era il tempo in cui gli invasori erano gli italiani.

Louis Bertrand proseguì nella sua attività di scrittore. Nel 1936 diede alle stampe un pamphlet intitolato Hitler. Auspicava un avvicinamento della Francia alla Germania nazista.

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