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Attualità

ANIMATORI DELL’AMICIZIA

MASSIMO LODI - 19/05/2017

Maria Vittoria e Giorgio Bignardi

Maria Vittoria e Giorgio Bignardi

Un esercizio della memoria. Poi della riconoscenza. Infine della fraternità. O forse il contrario, nel succedersi dei sentimenti manifestati e condivisi a Bizzozero, chiesa di San Carlo, qualche sera fa. L’occasione data dal tema dell’incontro, “Non ti scordar di me”, è stata il ricordo di Maria Vittoria e Giorgio Bignardi, due varesinissimi scomparsi e però vivi nell’album della storia cittadina. Lui direttore sanitario dell’Ospedale di Circolo, versatile scrittore/editore, raffinato bibliofilo. Lei donna di vivaci interessi culturali, con forte vocazione sociale, e praticante d’un cristianesimo solido: nessuna crepa, molte aperture. Tutt’e due benefattori. Il centro polivalente per i giovani di Bizzozero vide la luce in virtù d’un proposito di Giorgio a favore dei ragazzi meno fortunati. Maria Vittoria partecipò all’idea e alla sua realizzazione. Viva Giorgio e viva Maria Vittoria, a ogni golletto sul piccolo campo di calcio, a ogni canestro nella funzionale palestra.

La generosa figlia Rosi, che ha ricevuto in dono il sorriso dell’ottimismo, ne custodisce e tramanda i meriti. Han fatto del bene, ed è opportuno rammentarlo. Nella circostanza commemorativa, se n’è incaricato don Massimo Capitani, incentrando l’omelia dell’affollata messa, celebrata assieme a don Carlo e don Marco, sul tema/ valore dell’amicizia. Quella spiegata dal Vangelo: dare quando ti viene chiesto, e senza esigere nulla in cambio. Mettendoci l’anima, perché ad altro, nella sua natura profonda, essa non tende. E affermando il primato della fratellanza evangelica sempre e comunque: lode (perfino) agl’importuni che sanno cogliere l’opportunità del gesto prodigale.

Ha concluso don Massimo: il traguardo d’una vita bella, buona, beata si raggiunge a questo modo. Bella, cioè punteggiata di gratificanti relazioni umane. Buona, cioè non costretta nel recinto dell’io, e invece declinata in nome del noi. Beata, cioè vissuta nel segno d’una lieve e insieme alta spiritualità. Maria Vittoria e Giorgio ne sono stati gl’interpreti/i modelli e chi ha avuto la fortuna d’incrociarli sul proprio cammino lo testimonia.

A lui piaceva l’eleganza della parola, in cui leggeva lo stile della persona. A lei il tratto della persona, e sapeva con quale parola chiamarlo. La loro grammatica esistenziale, e anche la sintassi, continuano a rappresentare nella contemporaneità che scappa via un esempio assolutamente fermo sul quaderno della vita. Lì da studiare, apprezzare, copiare. Certo in sobrio e grato silenzio, com’è nostra tradizione locale. E tutt’al più, tramite voci melodiose. In chiesa, al momento dei saluti, si sono con spontaneità levate intonando il “Deus ti salvet Maria”, noto anche come Ave Maria sarda, canto devozionale del diciottesimo secolo scritto da Bonaventura Licheri e reso famoso da Maria Carta. Quel pluralismo corale ha impresso all’exit (ite)una piega di singolare emozionalità.

 

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