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Cultura

GRAND HOTEL, CASA NOSTRA

GIOIA GENTILE - 02/06/2017

grand-hotelStrana città Varese. Mi ricorda una bella donna che, per pudore o trascuratezza, si nasconda o si imbruttisca per evitare di essere troppo appariscente. Così, quando qualcuno riesce a scoprirne i pregi, tutti ne restiamo stupiti.

È ciò che è accaduto alla “scalea” del Sacro Monte, una scala che probabilmente molti di noi, nel corso degli anni, hanno salito con indifferenza, ignari del suo valore. Fino a martedì 23 maggio, quando, nel corso della conferenza “Giuseppe Sommaruga nel centenario della morte. Aspetti inediti di alcune opere varesine”, organizzata dalla sezione di Varese di Italia Nostra, l’architetto Bruno Bosetti ha raccontato di aver trovato nell’archivio storico del Comune di Varese un documento che ne attribuisce inequivocabilmente la paternità a Giuseppe Sommaruga.

Il Salone Estense, dove la conferenza si è svolta, era al completo e, ovviamente, il protagonista indiscusso è stato il Grand Hotel Campo dei Fiori. Mentre scorrevano sullo schermo le immagini di com’era e di com’è oggi, e mentre Elisabetta Moneta, erede di uno degli antichi proprietari, condivideva le memorie di famiglia, diverse persone, tra il pubblico, sussurravano al vicino i propri ricordi. E, almeno per un’ora, il grande albergo non è stato più solo un’”aquila pronta a spiccare il volo”, l’opera pregevole di un grande artista, ma è tornato ad essere una casa accogliente dove molti ritrovavano le proprie radici.

Io, che invece non l’avevo mai frequentato, ho immaginato l’atmosfera all’epoca della sua inaugurazione, nel 1912, e nella mia mente, allontanati gli incubi di Suspiria, le vaste sale hanno ripreso vita. Sete fruscianti, volti ombreggiati da larghi cappelli guarniti di piume e velette, musiche, danze, banchetti: eleganti coppie le animavano di nuovo, uscivano ridendo sulla sinuosa terrazza affacciata sulla valle, ignare dell’imminente catastrofe bellica.

Forse le stesse immagini hanno indotto alcuni studenti del Politecnico – che hanno chiuso la conferenza – a presentare due tesi su questo edificio, una di architettura ed una di ingegneria. Forse anche loro, affascinati dalle luci della Belle époque, hanno avvertito la sofferenza del declino, il disagio della trascuratezza e dell’abbandono e il desiderio di far rinascere a nuova vita una struttura che è ormai diventata parte del nostro paesaggio affettivo.

Poi, domenica 28 maggio il Grand Hotel è stato aperto per l’inaugurazione della mostra Giuseppe Sommaruga. Un protagonista del Liberty. Tutti noi partecipanti, più che la mostra fotografica pur interessante, guardavamo con struggimento il “gigante addormentato”, ne accarezzavamo con lo sguardo gli spazi, quasi fosse sufficiente a farlo resuscitare, giravamo stupiti nelle poche sale visitabili ed esprimevamo un solo auspicio: salvatelo!

Dunque, se Varese si nasconde o si trascura, la colpa non è dei cittadini, che non mancano mai un appuntamento che la valorizzi. E allora? Mi ha aperto gli occhi una lettera pubblicata su “La Prealpina” sabato 27 maggio, in cui Luca Rinaldi (Soprintendente per i Beni archeologici, Belle arti e Paesaggio) afferma di avere attribuito al Sommaruga la “scalea” del Sacro Monte già nel 1989, di averne dato comunicazione su Tracce e di averne controllato il restauro nel 1999. Inoltre si dice preoccupato per quello che legge sulle celebrazioni del centenario, che rischiano di essere “superficiali e generiche celebrazioni di uno stile ‘glamour’, come il Liberty” a cui – a suo dire – Sommaruga non ha mai aderito. Sinceramente non mi sembra il caso di stroncare sul nascere un’iniziativa che può avere difetti, ma ha anche l’evidente pregio di smuovere le acque, di sensibilizzare le persone, di suscitare dibattiti. Ecco cosa manca a Varese, mi sono detta: non lapassione dei cittadini, non il loro desiderio di conoscere, ma la volontà o la capacità, da parte di coloro “che sanno e che possono”, di divulgare, di comunicare, di valorizzare ciò che la città possiede. Affinché possa diventare bella “da vivere”.

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