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Sport

ANTIDOTO ALLA NOIA

CESARE CHIERICATI - 02/06/2017

nibaliIl Giro del centenario è stato un grande successo sia sul versante della partecipazione popolare sia sul versante tecnico sportivo. La festa mobile delle due ruote ha seminato allegria, partecipazione, fatica, retorica e commerci come e più di sempre fornendo un esito che premia l’atleta più regolare Tom Dumoulin, olandese scultoreo che nelle gare contro il tempo ha la sua arma migliore. In soli 40 secondi è racchiuso il podio, con Nairo Quintana secondo e Vincenzo Nibali terzo, il che la dice lunga su quanto sia stata equilibrata l’intera corsa condotta a una media oraria finale spaventosa (39,843 km/h) se consideriamo il numero di montagne grandi e piccole disseminate lungo il percorso. Forse l’unico piccolo appunto che può essere rivolto agli organizzatori è che una cronoscalata di una ventina di chilometri al posto della piattissima Monza – Milano, tipo la Gallarate – Sacro Monte del ’90 o un’inedita Como – Madonna del Ghisallo, avrebbe messo i tre leader su un piano di ancor maggiore parità. Perché per il piccolo colombiano 80 km a cronometro sostanzialmente piatti, sono troppo penalizzanti e in parte lo sono anche per Nibali, certo il nostro miglior campione degli ultimi vent’anni, un maratoneta alla Gimondi. A parlare per lui sono i fatti, le classifiche: quattro grandi giri vinti (due Giri, un Tour, una Vuelta) e altri cinque podi, nove in totale come Fausto Coppi. E poi i giri brevi tipo Trentino e Tirreno – Adriatico, le classiche di un giorno come il regale Lombardia del 2015 e tante altre un filo meno nobili.

Un palmarés che attraverso i numeri racconta anche la solidità del personaggio, la sua proverbiale schiettezza, l’educazione, la voglia di lottare e provare sempre e comunque non appena il terreno appare in qualche modo favorevole. Anche a costo di pagare dazio come è accaduto sul Blockhaus allorché il temperamento ha fatto premio sulla ragione inducendolo a rispondere agli scatti ravvicinati e secchi di Quintana. Questo, signori, é Nibali, siciliano di Messina, ovvero un antidoto alla noia ciclistica. Ora alcuni osservatori già si affannano a decifrarne il futuro mettendo in risalto che a settembre compirà 33 anni, un’età certo non più verde per il ruvido sport delle due ruote, ma neppure da pensione. Piuttosto una stagione in cui anche un campione del suo livello deve selezionare gli obiettivi misurando il più possibile i colpi di pedale. Uno sperimentato suiveur come Mario Fossati, decine e decine di Giri e Tour all’attivo, diceva che i campioni in età matura dovrebbero trasformarsi da cacciatori di elefanti in cacciatori di mosche. Stando alla posta- aggiungeva con la sua proverbiale arguzia – può loro capitare di abbattere ancora qualche elefante. Gli esempi in merito non mancano. Ne ha fatte le spese lo stesso Nibali nel 2013 allorché, dopo aver vinto il Giro, finì secondo alla Vuelta diviso da una manciata di secondi dall’americano Chris Horner, quarantaduenne di ottima stoffa che aveva maniacalmente preparato l’appuntamento iberico. Come l’ultimo Gimondi, Vincenzo dovrebbe puntare su due traguardi per nobilitare ulteriormente la sua carriera: il campionato del mondo e il terzo Giro d’Italia entrando così nell’èlite dei tre volte vincitori a Milano. Mete possibili entrambe: la prima dipende molto dalla selettività del percorso e dalla fortuna del momento, la seconda è invece più programmabile a patto di non buttare energie in corse e corsette di inverno-primavera. Molto dipenderà anche dalle aspettative e dalle necessità della sua squadra, la Barhain –Merida.

Tom Dumoulin si aggiunge invece a pieno titolo alla ristretta aristocrazia dei campioni da corse a tappe, si affianca a Froome, Contador, Quintana, Nibali e poi un gradino sotto i vari Pinot, Landa, Thomas e altri. Non lo si scopre oggi, già nel 2015 alla Vuelta vinta da Fabio Aru, aveva dato prova delle sue emergenti qualità. È uno specialista delle lancette come l’indimenticabile Fabian Cancellara, ma è più forte e resistente di lui in salita, diversamente non avrebbe vinto il Giro. E poi dalla sua ha l’anagrafe – è del ’90 – una dote che alla lunga non ha contromisure, ma che si può anche dissipare. Sta a lui amministrarla al meglio.

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