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Parole

ETEROGENEITÀ CHE SPAVENTA

MARGHERITA GIROMINI - 14/07/2017

classeCi sono ancora docenti, genitori, e, ahimè, dirigenti scolastici, convinti che la composizione di una classe – quanti bravi e quanti meno bravi ne fanno parte – determini in modo rilevante la qualità pedagogica e il livello raggiunto dai singoli allievi e dal gruppo classe nella globalità. Ancora oggi spaventa la sola idea dell’eterogeneità: provenienza geografica, sociale, culturale degli studenti, grandi o piccoli, sono percepite come concause dello scarso successo del nostro sistema scolastico nelle prove ufficiali internazionali.

Giorni fa la stampa ha dato spazio a questo argomento a partire dalla denuncia di un maestro di scuola primaria: esistono ancora classi “ghetto” che purtroppo hanno l’avallo delle autorità. I dati statistici confermano la tendenza alla pratica delle classi omogenee soprattutto nel sud: di qua i bravi per nascita e per status, di là i meno dotati di background culturale e sociale. La riflessione, amara, è che i ragazzi “poveri” alle spalle hanno spesso famiglie prive degli strumenti necessari per ribellarsi all’ingiustizia di una scuola che dovrebbe essere nata per colmare le differenze nella scala sociale. Purtroppo anche in alcune zone del nord, è questa la denuncia di un genitore veneto a cui è seguita la lettera del maestro, vengono formate classi la cui omogeneità contrasta apertamente con il dettato costituzionale e con le leggi fondamentali del nostro ordinamento scolastico.

Non c’è dubbio: la nostra legislazione afferma il principio dell’uguaglianza delle opportunità alle cui fondamenta sta il criterio della equi – eterogeneità che impone la formazione di classi che includano, tutte, studenti di diversa estrazione. La convinzione su cui poggia il principio si basa sulla ricchezza di una classe composta da gruppi differenziati che riescono a garantire ad ogni singolo studente la possibilità di accrescere i propri apprendimenti, anche grazie all’interscambio tra i compagni.

Al contrario, nella classe con gruppi omogenei – per capacità o per estrazione socioculturale – gli squilibri aumentano. Facciamo un esempio: in una classe di bambini “stranieri”, meglio definibili di diversa nazionalità, lingua e cultura, sarà difficile il confronto con la lingua parlata dai coetanei italiani, più complessa la conoscenza dell’ambiente sociale e culturale, più difficile l’arricchimento tramite le esperienze amicali tipiche di questa età. Gli alunni autoctoni, a loro volta, se sono inseriti in una classe omogenea di soli italiani, magari in maggioranza di pari livello socio culturale, non verranno a contatto diretto con coetanei portatori di culture, di saperi, di modi di essere diversi. Questa situazione, nella società globalizzata del terzo millennio, costituisce un forte limite e comporta una perdita di opportunità per il futuro delle nuove generazioni nel mondo occidentale ormai irreversibilmente multiculturale.

La maggior parte delle scuole che conosciamo si è dotata di criteri oggettivi per la formazione delle classi. In ogni regolamento di istituto vengono affermati i principi di equità a cui si dovrebbero attenere gli operatori scolastici. Però …

Però molti di noi sono a conoscenza di scuole con classi omogenee verso l’alto e di scuole, magari nello stesso territorio cittadino, o nel paese limitrofo, con classi omogenee però verso il livello più basso.

Facile. Individuando per il figlio una scuola ritenuta di buon livello, anche se l’istituto si trova lontano dalla propria abitazione, si ottiene il risultato atteso: tanti ragazzi con risultati medi o medio alti si iscrivono allo stesso istituto con la fama di scuola selettiva e la giusta classe omogenea è fatta. Le possibilità di ritrovarsi con compagni “scelti” aumentano mentre, in maniera direttamente proporzionale, la scuola tralasciata dalle famiglie più attente si ritrova con troppi studenti selezionati verso il basso.

Il problema sollevato dal maestro Lorenzoni e subito raccolto dalla ministra Fedeli da un lato è un problema di coscienza, dall’altro di maturità sociale. Non basterà la circolare che il MIUR sta preparando per i dirigenti scolastici a modificare la situazione.

Ma noi gettiamo un sasso nello stagno delle presunte certezze pedagogiche: almeno parliamone.

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