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Souvenir

A CACCIA DI CAVALLETTE

ANNALISA MOTTA - 14/07/2017

magico-pratoDire che avessimo una coscienza ecologica è troppo. Ma è vero che il mondo ci appariva come un’immensa occasione di giochi e di scoperte, un’infinita possibilità di creare, trasformare, inventare e ammirare. I giorni dell’estate erano assorbiti totalmente dal gioco e dai compiti delle vacanze, ed

ingrediente indispensabile era l’amica, o amico, del cuore: con lei/lui qualsiasi idea diventava fattibile, qualsiasi stramberia si traduceva in realtà. E sempre si giocava all’aperto, tranne che durante i temporali.

Il prato era una risorsa inesauribile: ci si faceva la spesa per “cucinare”, e le diverse specie erbacee diventavano zucchero, pasta, riso, sugo, addirittura prosciutto e salame. Ci raccoglievamo gli steli di erba cucca, da ciucciare di nascosto dai grandi, per gustare quel saporino acidulo e rinfrescante e sputarne i filamenti. Ci stanavamo i lombrichi per i papà pescatori, e all’occorrenza ci raccoglievamo le pratoline per coroncine e braccialetti. Ci si pungeva gambe e braccia alla ricerca di more – sempre troppo acerbe – lungo fossi e muretti.

Ma soprattutto , durante la fienagione, ci si andava a caccia di cavallette, perché l’erba rasata prometteva un facile inseguimento. Dietro all’uomo armato di ranza (in italiano falce) che segava con ampi gesti l’erba alta, fermandosi a tratti per togliere dal corno che aveva in vita la cote, e affilare la lunga lama ricurva, avanzavamo guardinghi con lo sguardo fisso al prato tagliato di fresco. Accarezzando col piede i fili d’erba, le cavallette saltavano spaventate: ne sceglievi una “giusta”, né troppo piccola né troppo grossa, aspettavi col fiato sospeso che si fermasse su uno stelo più alto degli altri, e con la mano a paletta , ZAC!, la chiudevi delicatamente nel pugno. Ci voleva poi una certa abilità per farla scivolare nel barattolo di vetro, una collezione di prede che alla fine avremmo lasciato magnanimamente andare . Quando il barattolo era bello pieno, in un vorticare di zampe e antenne, si cercava di contarle, e poi, VIA! libere come l’aria. Il bello era aprire di botto il coperchio, facendole scappare tutte insieme, in un tripudio di salti e svolazzi, col cruccio di qualche zampina rimasta sul fondo della prigione e di qualche “caduto sul campo”…

Ci crederete? È un’abilità che non ho perso con gli anni: il segreto sta nella prontezza del gesto e nella giusta tensione del pugno: se è troppo molle, la cavalletta riesce a scappare, se è troppo chiuso, addio al povero insetto. Ma che commozione, quando senti le zampettine raspare il palmo della tua mano, per sussurrare un anelito di libertà: ti accorgi di botto che ogni vita è meraviglia indicibile.

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